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Quanto è (poco) credibile il j'accuse di Carofiglio contro le lobby dietro al Premio Strega

Mariarosa Mancuso

Come possa uno scrittore pubblicato da Sellerio, Mondadori, Rizzoli, Laterza, Nottetempo considerarsi privo di appigli per “un’efficace attività di lobbismo” resta un mistero

Sostiene Miguel de Cervantes, in una delle sue “Novelle esemplari”, che il secondo miglior laureato – non importa in quale università  – vale più del primo. Chi ha i voti migliori, aggiungeva, li ha ottenuti grazie alle raccomandazioni. Chi arriva secondo ce l’ha fatta con i suoi meriti. Leggendo l’intervista che Gianrico Carofiglio ha dato ieri al Corriere delle Sera, scopriamo che esiste una terza possibilità. Il candidato che non arriva né primo né secondo, anzi neanche partecipa, “in mancanza di un’efficace attività di lobbismo”. 

Andrà meglio la prossima volta, vien da dire. E poi passare ad altro, di Premio Strega abbiamo già scritto a sufficienza. Invece no, perché veniamo a sapere che – come e più del “secondo laureato” – chi rimane fuori senza laurea né riconoscimenti deve essere considerato al di sopra di chiunque. Incapace di far lobby (sia pure in un mondo letterario dove tutti conoscono tutti). Fuori dalle “conventicole” che guastano il sangue ai non premiati, ai non laureati, perfino ai non pubblicati (fa testo il professore nel film di Paolo Virzì “Caterina va in città”, con il suo manoscritto sempre rifiutato).
     

L’Italia ha inventato il “vincitore morale”, che nel resto del mondo è uno che ha perso. E basta. Come possa uno scrittore pubblicato da Sellerio, Mondadori, Rizzoli, Laterza, nottetempo (qualcosa abbiamo dimenticato, ci sono anche i testi giuridici) considerarsi privo di appigli per “un’efficace attività di lobbismo” resta un mistero. Wikipedia dice “tradotto in 28 lingue”. Le milioni di copie vendute sono 7, tre i cicli principali – l’avvocato Guido Guerrieri, il maresciallo Pietro Fenoglio, la ex pubblico ministero Penelope Spada. Più i “singleton” come “Il passato è una terra straniera”, diventato un film di Daniele Vicari, e vincitore del Premio Bancarelle nel 2005.
Aggiungiamo che sono scrittori anche il fratello, Francesco Carofiglio (vari romanzi pubblicati e libri per bambini), e la madre, Enza Buono (scriveva prima di lui, precisiamo – il suo primo libro è del 1993, e in tutto sono cinque). Figlio d’arte, si potrebbe osare – Carofiglio è cintura nera di karate. Per completare il quadro, il libro-conversazione scritto con la figlia Giorgia, “L’ora del caffè” (dal podcast con lo stesso titolo). 
       

Gli elenchi sono noiosi, ma bisognava allargare il quadro. I primi a reagire dovrebbero essere i colleghi che a differenza di Gianrico Carofiglio non vendono tante copie e non incassano anticipi. In mancanza – i commenti li fanno in privato – torniamo all’intervista. Alla voce “maestri”, si parte con Dostoevskij (rubricato sotto “le cose che si dicono per fare bella figura”, ma intanto il nome è lì a pavoneggiarsi sulla pagina). Poi si passa a Simenon, Calvino e Carver.  Lo scrittore di Bari (ex magistrato, ex senatore, lettore di audiolibri) avrebbe voluto scrivere “Il piccolo Principe” di Saint-Exupéry, oppure “Le nostre anime di notte” di Kent Haruf: una fissazione dei lettori di ieri e una fissazione dei lettori di oggi – in genere, e nei due casi, lettori di un solo libro.
È l’occasione per raccontare di nuovo l’aneddoto sul primo romanzo con l’avvocato Guido Guerrieri – già ascoltato durante un’intervista alla Radio svizzera, una ventina di anni fa. Aveva mandato il manoscritto a parecchi editori, un bel po’ di tempo dopo ricevette una garbata lettera di rifiuto. “Dolenti declinare”, come vuole la formula classica di accompagnamento. Intanto Sellerio aveva pubblicato il romanzo, con successo di pubblico e di critica. Mancava all’aneddoto il nome dell’editore distratto. Che ora Carofiglio rivela, devono essere scaduti i termini per la prescrizione. Era l’editore Fazi. 

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