(foto LaPresse)

la parabola

Da avanguardia architettonica a simbolo di degrado: storia della Vela Celeste di Scampia

Maurizio Stefanini

Da modello di abitazione sperimentale, il complesso della periferia di Napoli si è trasformato in un emblema della criminalità (vedi Gomorra). Quella interessata dal crollo del ballatoio è l'unica Vela a non essere stata ancora abbattuta

Da Le Corbusier a Gomorra, e da Gomorra ai crolli. È la malinconia traiettoria ora culminata nel collasso di un ballatoio della Vela Celeste del Rione Scampia di Napoli, con due morti e 12 feriti, tra cui due di due anni. Il 29enne Roberto Abbruzzo è morto sul colpo; la 35enne Margherita Della Ragione in nottata per un arresto cardiocircolatorio sopraggiunto a causa dei gravi traumi riportati. Tutti apparentenenti alla famiglia che si trovava in quel ballatoio di servizio al quarto piano che distaccandosi ha trascinato gli altri due sottostanti. Ma sono 800 gli evacuati nell'area interessata dal crollo, tra cui 300 minori. E anche nell'area non interessata dal crollo è stato vietato il transito sui ballatoi, fino a completamento delle verifiche.

Ma il paradosso è che questa struttura diventata simbolo del degrado si era in realtà voluta ispirare all'avanguardia architettonica del XX secolo. Come d'altronde anche altre, sparse per l'Italia: dalle Vele di Scampia, appunto, opera dell'architetto Franz Di Salvo, al “Serpentone” romano di Nuovo Corviale, passando per lo Zen di Palermo, il Pilastro di Bologna e lo Zingonia di Bergamo. Ispirati non solo al maestro de Movimento Moderno, ma anche al Neorealismo Architettonico di Ignazio Gardella, Michele Valori, Mario Ridolfi, Carlo Aymonino, Ludovico Quaroni, Giovanni Michelucci; al Razionalismo Italiano di Luigi Figini, Gino Pollini, Guido Frette, Sebastiano Larco Silva, Carlo Enrico Rava, Giuseppe Terragni, Ubaldo Castagnoli, Adalberto Libera; al Brutalismo di Alison e Peter Smithson, James Frazer Stirling, Paul Rudolph, Kenzō Tange, Clorindo Testa; al Macrostrutturalismo di Jan Lubicz-Nycz. Tutto un Gotha di Grande Architettura, finito malinconicamente a fare da sfondo per i film sulla camorra, e infine con una dispendiosa demolizione di tre “Vele” realizzata tra febbraio e luglio 2020, salutata come segno di speranza pluripartisan. 48 milioni ci misero infatti i governi di Renzi e Gentiloni per togliere di mezzo il complesso, nove li aggiunse la Ue, e 50 il governo Conte 2, con il sindaco De Magistris che parlava di “bella pagina”. Dopo che altre tre erano state già demolite tra 1997 e 2003, delle sette originariamente costruite tra 1962 e 1975, era rimasta appunto la sola Vela B, detta Vela Celeste.

 

Volute con una legge n. 167 del 1962 per lo sviluppo della zona est di Napoli, il nome era dalla forma triangolare, che ricorda quella di una vela: ogni costruzione, larga alla base, va restringendosi man mano che si sale verso i piani superiori. Proprio Roberto Saviano nel 2020 fece però qualche puntualizzazione. “Cade la Vela verde ma non basta per abbattere Gomorra”, avvertì proprio colui che con i suoi best-seller aveva più contribuito a raccontare al mondo come il complesso fosse diventato simbolo di degrado. “Le Vele non sono responsabili del male di Scampia”, spiegò. Ricordò che Franz Di Salvo, “un geniale architetto”, si era appunto ispirato allo spirito architettonico del tempo, nell’idea di ridurre l’appartamento a un minimo indispensabile ed economico, proiettando la vita in una dimensione collettiva esterna. E osservava che questa idea di “ricostruire lo spirito dei vicoli in un condominio” in effetti ha funzionato in Costa Azzurra, con le Vele gemelle di Villeneuve-Loubet. “Tra gli appartamenti più ambiti d’Europa”. Se ha fallito, secondo lui non è per il progetto in sé, ma perché “le Vele non furono realizzate come il piano prevedeva”. Niente aree verdi; niente servizi; niente spazi comuni; niente distanze minime; addirittura prime consegne senza ancora servizi igienici, luce e gas. Poi le occupazioni di famiglie senza casa dopo il terremoto del 1980, e a quel punto la Camorra ebbe gioco facilissimo nel trasformare le Vele in un suo regno. “Recuperare le Vele era ormai impossibile visto il livello di devastazione e abbandono cui erano arrivate, ma non c’è nulla da festeggiare in questo abbattimento. Una vittoria? Una vittoria di cosa? Abbattendole non si risolvono le cause che hanno generato il degrado”, concludeva Saviano. Anche perché ormai la Camorra ha già trovato nuovi territori su cui agire.

Appena ad aprile scorso era stato annunciato il piano di rigenerazione urbana dell'amministrazione Manfredi relativo alla riqualificazione della Vela Celeste, finanziati dal Piano Periferie con circa 18 milioni di euro. Il progetto prevedeva la riqualificazione degli spazi comuni, del piano dei garage e dei porticati, dei collegamenti verticali e del rifacimento delle superfici orizzontali di copertura, per fare dell'unica Vela sopravvissuta un simbolo del passato, del quartiere e delle battaglie del territorio “per il riscatto che questa comunità ha condotto”, come aveva annunciato il Comune di Napoli.

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