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Oltre il melodramma

Meno male che nella classifica del New York Times non c'è solo Elena Ferrante

Mariarosa Mancuso

Libri emozionanti, attenti ai dettagli. Che sono il sale della vita, oltre che della letteratura
 

L’arrivo di Elena Ferrante in cima alla classifica del New York Times – più di 500 scrittori, poeti, critici, saggisti e grandi lettori consultati sul tema “i migliori libri di questo primo quarto di secolo” – scatena le fantasie sulla scrittrice misteriosa. Noi ormai la immaginiamo come un algoritmo, messo a punto da una manciata di maschi che ora stanno esultando per la burla riuscita (non sarebbe la prima volta: nel ’700 lo scozzese James Macpherson finse di essere un bardo di vari secoli prima e scrisse gli ammiratissimi “Canti di Ossian”).
         

Le groupie (non soltanto femmine) applaudono, ormai ogni occasione è buona per fare il tifo. Noi che la Ferrante non riusciamo a leggerla – troppo melodramma, assenza totale di ironia – siamo andati a curiosare tra gli altri titoli. Va detto che il New York Times, per fare servizio pubblico, ha aggiunto alla lista dei magnifici 100 una guida per scegliere il titolo adatto, se il lettore di fronte alla lista si sente confuso. 
Non è fatta per i critici, ha categorie come: “Voglio qualcosa che mi faccia ridere” o “voglio qualcosa che mi faccia piangere”. Nella prima categoria troviamo “La breve favolosa vita di Oscar Wao”; “Lo schiavista”; “Funeral Home”; “Dieci dicembre”. Una bella lista per le vacanze, gli scrittori li trovate facilmente su internet, e tenete conto – se siete superstiziosi, ancora succede – che “Fun Home” sta per Funeral Home, l’impresa di pompe funebri dove la scrittrice è cresciuta, e che si tratta di un fumetto. Per “a good cry” – un bel pianto – abbiamo l’imbattibile Joan Didion, con “L’anno del pensiero magico”.

Torniamo lassù dove Elena Ferrante regna – e forse anche un po’ si pente del suo nascondimento, certo non pensava a un simile successo. I critici americani sottolineano nei primi dieci la presenza di ben tre libri tradotti. Oltre a Ferrante, il tedesco W. G. Sebald con “Austerlitz” e il cileno Roberto Bolaño con le 900 pagine di “2666”, romanzo-mondo introdotto dalle parole di Baudelaire: “Un’oasi di terrore in un deserto di noia”. Va detto che nel leggere gli altri due non siamo stati assaliti dalla disperazione, e poi dalla noia, per la scrittura melodrammatica e i luoghi comuni della napolitude (ormai frequentati anche da Paolo Sorrentino in “Parthenope”). 
L’entusiasmo vale anche per Colson Whithehead con “La ferrovia sotterranea”, grande romanzo americano sulla schiavitù, e la catena di solidarietà che aiutava i fuggitivi verso il nord. E per “Le correzioni” di Jonathan Franzen, che ha brillantemente superato il tremendo handicap: è uscito l’11 settembre 2001, giorno dell’attentato alle Twin Towers. Era il suo terzo romanzo, ci teneva più di ogni cosa, provocando un attacco di invidia feroce alla sua fidanzata (che poi ne scrisse in un racconto). Sono tra i primi dieci “Non lasciarmi andare”, la fantascienza con pezzi di ricambio umani di Kazuo Ishiguro e “Gilead” di Marilynne Robinson: la lettera di un reverendo al figlio di sette anni, sul bene il male e tutto quel che sta intorno. 

Interrogati sui criteri con cui hanno scelto i libri da mettere in lista, tre critici letterari del New York Times hanno indicato, per prima cosa, “il piacere della lettura” (non l’importanza che è sempre un concetto astratto). Non stavano compilando una storia della letteratura. Hanno scelto libri emozionanti, attenti ai dettagli. Che sono il sale della vita, oltre che della letteratura e del cinema (pur essendo valori sconosciuti ai giurati dello Strega). Dwight Garner ha tirato fuori due verbi come “prickle” e “sting”: pizzicare e pungere. In linea diretta con Vladimir Nabokov, che giudicava i libri belli dal brivido tra le scapole.