Riflessioni

L'intelligenza è un dato di fatto che mai come oggi chiede di essere decifrato

Costantino Esposito

Paradosso contemporaneo: da una parte l’intelligenza è una facoltà umana naturale, dall'altra è sempre più definita dal calcolo artificiale delle macchine, che mette in discussione la sua capacità intuitiva

“Esseri intelligenti” è il tema del “Piccolo Festival di Filosofia” che si terrà a Leuca (estremo Salento) nelle due serate del 27 e 28 luglio 2024. L’appuntamento, ideato e curato da Costantino Esposito, vedrà la partecipazione di dieci “filosofi” impegnati a riguadagnare il senso dell’intelligenza umana in un confronto con altre intelligenze, da quelle angeliche a quelle animali e vegetali, da quelle artificiali a quelle collettive e postumane.


   

L’intelligenza sembra essere oggi a un punto di svolta. Essa continua a essere usata come una funzione specifica della nostra mente, quella che ci fa orientare nel mondo riconoscendo – magari a fatica – ciò che è vero e ciò che non lo è, l’essenziale e il superfluo, il giusto e l’ingiusto. Ma soprattutto è quella capacità che ci fa accorgere che il reale c’è, e che ci tocca, ci sollecita, ridesta il nostro io. E noi possiamo rispondere all’invito perché abbiamo, nella nostra stessa intelligenza, la competenza per cogliere la bellezza delle cose, come diceva Agostino d’Ippona, cioè il senso proprio del mondo, “confrontando questa voce ricevuta dall’esterno con la verità al [nostro] interno” (Confessioni, X).

Come ha osservato Kant nella sua Antropologia, questa facoltà “non può essere insegnata” per mezzo di una dottrina, “ma solo esercitata”, perché essa è piuttosto un ingegno naturale che si possiede oppure no. E infatti solo un essere umano può usare la sua intelligenza, con una competenza personale che non si può demandare ad altri.
 

Va da sé che noi possiamo anche sbagliarci nel giudicare, ma in ogni caso possiamo renderci conto dello sbaglio e continuare a tentare, proprio grazie al giudizio della nostra intelligenza. Essa è come una “dotazione naturale” che ci fa essere noi stessi in rapporto all’universo intero, e ci rende consapevoli di esserlo in prima persona. Perché se gli altri pensassero e giudicassero al posto mio io sarei semplicemente un alienato da me stesso.
 

D’altra parte l’intelligenza non è solo un’esperienza naturale dell’individuo; essa è anche un procedimento universale sovrapersonale, che può essere misurato, indirizzato verso alcuni risultati  rispetto ad altri, e dunque trasformato in un fattore strumentale rispetto a certi obiettivi, indipendentemente dal fatto che li si riconosca giusti o veri. Insomma, dall’essere un’esperienza dell’io (cioè fatta e verificata dall’io), l’intelligenza  diventa una costruzione artificiale dell’io, cioè il modo con cui l’io viene determinato da chi detiene e controlla l’uso pubblico e collettivo dell’intelligenza.
 

Certo, anche a livello naturale l’intelligenza non è mai automatica o innocente: anch’essa infatti risente del nostro libero arbitrio. Tant’è vero che noi potremmo anche negare un’evidenza che l’intelligenza ci mostra, o potremmo usarla in maniera capziosa e finanche distruttiva (quando si dice: avere un’intelligenza “diabolica”!).
 

La svolta odierna sta in questo strano paradosso. Da un lato infatti l’intelligenza umana non viene più identificata tout court con l’intelligenza “naturale”, perché in natura sarebbero all’opera altri esseri intelligenti – vegetali e animali – che attesterebbero una predisposizione infallibile a risolvere problemi ambientali, trovando le risorse intelligenti per fare la cosa giusta nel momento giusto. Dall’altro lato per comprendere lo sviluppo dell’intelligenza umana sembra prevalere il paradigma del calcolo artificiale. Anzi, proprio quella che si chiama impropriamente l’“intelligenza” di una macchina, o il suo algoritmo generativo, pur essendo palesemente un risultato della competenza degli esseri umani, diventa il criterio ultimo in base al quale definire la natura della stessa intelligenza umana.
 

Per questo mai come oggi l’intelligenza è un dato di fatto che chiede di essere nuovamente decifrato. Più specificamente: di cosa essa è capace? La sua competenza è tutta assorbita nella sua capacità costruttiva (artificiale) del mondo o implica anche inevitabilmente la capacità ricettiva che le permette di cercare e di trovare il senso di sé e del mondo? E ancora: la performance costruttiva potrebbe mai funzionare in tutta la sua crescente potenza, senza la semplice, gratuita intuizione del senso? Questo è il bello e l’enigmatico dell’intelligenza: che la sua progressiva potenza e la sua nativa semplicità sono due fattori indistricabili. Riannodarli, oggi che sembrano essersi separati, è uno dei compiti più affascinanti della nostra epoca filosofica.

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