Edna O'Brien - foto via Getty Images

1930 - 2024

La terra, i libri, il destino. In morte della grande scrittrice irlandese Edna O'Brien

Ester Viola

Nata a Tuamgraney, nella Contea di Clare, nel 1930. La famiglia era dura e cattolica, il paese era una fortezza bigotta. Non c’erano libri, non c’era niente, c’era solo da essere infelici e perseverare. Il ricordo della letterata

È impossibile scrivere un bel canto funebre, nemmeno una frase viene come dovrebbe, in morte dei grandi. Le parole non si piegano, non riesce niente, concludi con l’ammirato epitaffio inutile. Abbiamo perso Edna, Edna O’Brien, e sarebbe così bello ricordarla. Mi chiedevo da dove venissero le parole. Me lo chiedo ancora. Perché anche senza libri, o meglio con solo libri di preghiere e manuali sul bestiame in casa nostra, avevo concepito un amore per le parole e ne avevo raccolto un piccolo racconto. Credevo che le parole avessero associazioni magiche e che, con esse, potessi fare qualcosa di straordinario.
 

Intanto si poteva volar via da lì. Quella era la cosa straordinaria da fare subito: andarsene dal paese. Le ragazze di Edna sono nate cattoliche, irlandesi, e sotto (metaforicamente) un ermo colle. Il destino è il collegio di suore, tra gli anni ’40 e i ’50 avevi due devozioni possibili: tuo marito e il padreterno. A meno di non trovare qualcuno come te – ma non affinità d’amore, ti serviva una compagna alleata – e salvarti. La genialità delle amiche è essere due, e aiutarsi a scappare.
 

Kate e Baba sono compagne di scuola, spirito delicato una, prepotentissima e sicura l’altra. Passano tre anni in collegio. Capiscono che l’unica cosa da imparare è come farsi espellere dalla scuola, e a missione compiuta partono per Dublino. La grande città. Se la vogliono mangiare, la città. Le strade, le persone, il sesso che è una cosa nuova.
 

Certe scritture sono anche questione di geografia, è cosa certa. C’è una specie di odio di nascita, un odio massimo che assaggi e diventa possibile solo quando cresci in posti piccoli, gabbiette fatte a forma di villaggio: Edna O’ Brien era nata a Tuamgraney, nella Contea di Clare, nel 1930. La famiglia era dura e cattolica, il paese era una fortezza bigotta. Non c’erano libri, non c’era niente, c’era solo da essere infelici e perseverare. Certe vite nascono con uno spazio negato che altre vite non conoscono.
 

Edna O’Brien racconta la campagna irlandese che sembra di starci. Paesi piccoli fino al limite di chiedersi se esistono o te li sei sognati. E si somigliano tutti: il mio era trecento case sparse. Una valle immersa nel nulla, un nulla color muschio e un umido che le scalinate delle case, le maniglie dei portoni e i cortili erano sempre gocciolanti da ottobre ad aprile. Una condensa perenne. E una vocina dubbiosa ti accompagnava per tutta l’infanzia: sei proprio sicura di amarlo, questo posto? Sei proprio sicura di voler restare qui? Si era lontani da tutti, in quell’angolo in mezzo al niente. Ti dicono che quello intorno è verde ma tu vedi solo nero. Perché fuori ci sarebbero le vite degli altri, di tutti i colori, migliori delle nostre, bisognerebbe solo raggiungerli, gli altri. Vestirsi e uscire.
 

“È l’unico momento in cui ringrazio di essere donna, il momento della serata in cui chiudo le tende, tolgo i vecchi vestiti e mi preparo per uscire. Odio essere donna. Vanitosa, vacua, superficiale. Ma in quel momento della serata sono felice. Mi sento bendisposta verso il mondo”. Storia di Edna, di due ragazzine, storia di una rivolta infinita. Che non è tanto spezzarsi le radici, quanto cercare terra nuova. Che non è tanto essere forti, ma sentircisi.

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