Fernando Botero, Picnic, 2001

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Le nere e floride figure ispirate a Botero sono ormai arredo urbano (e non dei migliori)

Francesco Bonami

L'artista colombiano è stato anche bravo, sennonché il suo stile si è ammalato del morbo di Jacovitti, fumettista che faceva le donne rigogliose con dei seni grandi come un terrazzo. La sua arte non dice più nulla del mondo contemporaneo

Intediamoci subito; Fernando Botero è un artista e non una bufala. Spesso migliore del medio e tardo Guttuso, di Igor Mitoraj sempre, cosi come di tanti altri che forse non sono nemmeno veri artisti ma che impunemente invadono la fantastica piazza della sua Pietrasanta, città dove è considerato alla stregua di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. A Pietrasanta ti fanno la multa subito per due motivi; se parcheggi male o parli male di Mitoraj e di Botero. Colombiano, amico di Gabriel Garcia Márquez, Botero è stato anche bravo, sennonché il suo stile si è ammalato del morbo di Jacovitti dal nome del fumettista che faceva le donne rigogliose con dei seni grandi come un terrazzo. Da quel momento la bravura ha lasciato spazio alla fama, globale, e al conseguente denaro arrivato a valanga rendendolo, pare, l’artista più ricco del pianeta.

 

Come dargli torto se, forte di questo innegabile seppur inspiegabile questo successo, ha continuato a invadere le città, in particolare quelle italiane, con le sue figure gonfiate o differentemente Giacometti. Le opere di quest’ultimo comunicano un’angoscia esistenziale, mentre qualsiasi Botero proietta sullo spettatore un aria di benessere e anti ozempic. Se si facesse scegliere a un gruppo di spettatrici o spettatori presi a caso fra un Giacometti e un Botero, la maggioranza sceglierebbe l’artista di Medellín sulla base del  meglio godere che soffrire. Detto questo,  l’arte di Botero non dice più nulla del mondo contemporaneo, cosa che forse l’arte dovrebbe provare a fare. Le nere e floride figure boteriste sono diventate arredo urbano e non dei migliori. Vederle adesso sparpagliate per mezza Roma fa male alla retina. Il contrasto che creano con la bellezza, ma anche con il degrado trionfale dell’urbe, non è illuminante ma deprimente. Certo, sono monumenti ideali per un selfismo mordi e fuggi, ma nemmeno troppo. Perché siano lì Dio solo, e qualcuno dell’amministrazione cittadina sicuramente, lo sanno.

 

Ripeto: avercela con Botero è ingiusto. Ha fatto quello che sapeva e lo ha fatto bene. Non è colpa né sua responsabilità se altri vogliono voler far credere che il fare una cosa bene voglia anche dire farla buona, bella e interessante. Non solo, il boterismo è incurabile e inestirpabile. Non scompare mai, come l’umido dalle cantine. Ritorna sempre.  Ma di nuovo non ha più niente. Come per certe specie di animali che infestano le città si possono usare, per eliminarlo, altri tipi di arte che però in Italia non sono meno perniciosi. Come, ad esempio, una mostra di mediocri impressionisti dal titolo “Manet e gli amici del bistrot”, oppure Escher, che piace anche a Carlo Calenda. Ma l’effetto dura poco. E’ solo una classica debolezza strutturale di qualche amministrazione pubblica o assessorato alla Cultura  incapace di dire no. L’irresistibile pesantezza di Botero. Un diga nella quale non basta il ditino del povero critico d’arte per impedire l’esondazione. Da dove i Botero arriino si sa. Il grande mistero è dove vanno a finire terminata l’invasione urbana.  Sicuramente ci sarà sempre qualcuno che dirà “ho comprato un Botero da far paura”. Noi rimaniamo però solo con la paura di girare l’angolo e trovarsi faccia a faccia con un altro Botero. Inguardabile ma vero.

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