facce dispari

Lorenzo Baraldi: “Per il marchese del Grillo feci una piazza e un finto Tevere”

Francesco Palmieri

Intervista al noto scenografo: "I critici scrivono del regista, degli attori, ma l’autorialità di scenografi e costumisti è trascurata anche se di grandissima rilevanza". Gli esordi con Monicelli e la scena di "Amici miei" con gli schiaffi ai passeggeri del treno

L’architettura effimera di un film è ciò che resta nella mente quando lo si è dimenticato tutto, comprese le battute. Chi ricorda la Roma del ‘marchese del Grillo’, la Firenze della saga ‘Amici miei’, l’isola del ‘Postino’, ma l’elenco arriverebbe a un centinaio di titoli, è debitore a Lorenzo Baraldi. Parmense, scenografo decano, un David di Donatello, un Nastro d’Argento, una nomination al Golden Globe Award, Baraldi ha lavorato anche in coppia con la moglie, la costumista Gianna Gissi, ed è depositario di aneddoti maturati in una carriera cominciata con ‘Vogliamo i colonnelli’ di Mario Monicelli, il regista con cui sviluppò l’intesa più prolifica.

Quella commedia del ’73 sul tentato golpe Borghese è diventata di culto. Lo avrebbe immaginato?

Fu la mia prova del fuoco: avevo trentun anni e Monicelli volle uno scenografo giovane. Quando chiesi se avesse qualche idea da darmi disse: ‘Sei tu che le devi dare a me’. Massima libertà.

Le ambientazioni sembravano documentaristiche.

Frutto di studio e ricerche. Non c’erano i location manager, giravo io per trovare i posti. A Gallicano sulla Prenestina vidi un buffo villino in costruzione che pareva un castelletto, perfetto per la visita dei congiurati al vecchio maresciallo svanito. Ci mettemmo una voliera e il maggiordomo col volto dipinto di nero per simulare un ascaro fu inventato lì per lì. Rimasi con Monicelli per 38 anni e 16 film.

Quello in cui si è più divertito?

‘Temporale Rosy’ del 1980, storia di lottatrici di catch in giro per il Nord Europa. Sembrava un cartoon e non ebbe successo forse perché in anticipo sui tempi, ma fu un’occasione per sbrigliare la fantasia.

I critici talvolta si scordano di voi.

Scrivono del regista, degli attori, ma l’autorialità di scenografi e costumisti è trascurata anche se di grandissima rilevanza. Spesso i registi approvano i bozzetti senza mettere bocca, salvo eccezioni: Zeffirelli per esempio, che avendo un passato da scenografo interveniva sulle scelte. I critici finivano per imputare alla mancanza di spazio il silenzio sul nostro lavoro e Rondi mi diede ragione, ma la vera soddisfazione venne da Natalia Ginzburg per ‘Caro Michele’ tratto dal suo romanzo. Scrisse che avevo reso perfettamente l’ambientazione, anche se il film fu prodotto al risparmio.

Invece nel ‘marchese del Grillo’ rifece una piazza.

Quella della Bocca della Verità com’era all’epoca. Tanti anni dopo misero in mostra i bozzetti delle scene e dei costumi, realizzati da mia moglie. Veltroni chiese perché avevo schizzato il bozzetto della piazza: pensava fosse vera, non costruita a Cinecittà assieme a un pezzo di Tevere. Per le scene con il papa, il presidente Pertini ci mise a disposizione gli interni del Quirinale ma rinunciai, perché non potevo coprire gli stemmi sabaudi di cui erano pieni gli ambienti. Preferii il Campidoglio, dove il sindaco Petroselli fornì persino arredi originali prelevati in soffitta. Poi ci fu qualche scena non prevista dal copione, anche se Monicelli lo rispettava rigorosamente.

Quale?

Il melodramma rappresentato dalla troupe francese con la sommossa dei castrati quando canta Olimpia. Monicelli lasciò libertà di invenzione. È tornato in mente a mia moglie vedendo la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici e la cosiddetta “cena”. Gianna ha detto: “Non ti sembra presa dal ‘marchese del Grillo’?”

Fu più semplice scenografare le pellicole di ‘Amici miei’.

Però l’alluvione di Firenze fu riprodotta con effetti speciali e un’enorme vasca d’acqua. Tognazzi non immaginava che sarebbe defluita così tumultuosa e dovemmo gridargli di fuggire. A proposito, per la casa tugurio dove il conte Mascetti viveva con moglie e figlia m’inventai il letto a castello, il cucinotto con lavatrice a mano… A Monicelli piaceva lavorare negli spazi piccoli: per ‘Romanzo popolare’ ordinò di stringere le porte e fu necessario ingaggiare un operatore di macchina magrissimo.

La scena più curiosa?

Gli schiaffi ai passeggeri del treno. Monicelli fece arrivare le comparse da Roma a Firenze senza preavvertirle, per rendere naturale la loro reazione.

Qualche dettaglio sugli interni?

La casa dell’architetto Melandri. Ero stato da un vecchio compagno di studi a Brera, diventato un agiato borghese. Ricopiai gli arredi dai suoi. La scelta degli oggetti è importantissima. Quando vedo un film o una fiction tv mi rendo conto subito delle manchevolezze. Se trovo l’inverosimile, spengo.

Cosa ricorda del ‘Postino’?

A parte pochi esterni a Salina, poi a Procida, fu girato a Cinecittà. Stavo già allestendo un set a Pantelleria quando mi dissero che Troisi non stava bene e smontai tutto. Uno scenografo non è solo autore, ma deve coordinare squadre di specialisti, dai pittori ai costruttori. Per i fratelli Taviani realizzai il molo napoletano dell’Immacolatella su disegni d’epoca, con una piscina di 120 metri per 120. Andammo a Bratislava perché le comparse costavano poco, ma con 130 tecnici italiani. Siamo stati i più bravi del mondo perché eravamo capaci di inventarci qualsiasi soluzione all’ultimo momento.

C’è una scenografia irrealizzata che rimpiange?

Un film dal romanzo di Ercole Patti ‘Gli ospiti di quel castello’, dove un personaggio nota una luce da un portone, entra in un giardino con un palazzetto al centro e ci ritrova la sua vita. Monicelli doveva fare il film con i De Laurentiis, protagonista Mastroianni o Giannini. Era gennaio o febbraio ’76, ma la produzione dirottò il progetto su ‘Un borghese piccolo piccolo’. Sordi era titubante e Monicelli lo convinse: ‘Sei un grande attore, devi recitare in questo film’.

 

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