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Voglia di luce: il talento poliedrico di Else Lasker-Schüler
Rileggere la poetessa nell’anno dell’Italia ospite d’onore alla Buchmesse. L’elemento ebraico e quello tedesco incarnati nella lirica
Nella mia oscurità / nessun pastore si avventura”, così dice il cigno nero della letteratura tedesca, Else Lasker-Schüler. Da qui in poi i versi citati sono tutti suoi. E’ un’oscurità desiderosa di luce, la sua. “Per questo le mie labbra / vanno poetando grandi dolcezze / nel frumento del nostro mattino”. Per Karl Kraus, che lei chiamava il Dalai Lama, è la più grande poetessa che la Germania abbia mai avuto. “Un lieve colore è il mio movimento”. Eppure questa strepitosa autrice, con una voce bassa che pareva arrivare da molto lontano, è finita in una sorta di limbo della memoria. “Io so l’inizio / di me di più non so / però mi sono sentita singhiozzare nel canto”. L’oblio è sempre una mossa perdente, un danno per il nutrimento della nostra interiorità, soprattutto quando a finire nel dimenticatoio è quella letteratura portatrice di valori che rischiano di essere perduti. “Io costeggio l’amore nel lume del mattino, / da tanto tempo vivo dimenticata – nella poesia”.
Else Lasker-Schüler, nata in Vestfalia nel 1869 e morta a Gerusalemme nel 1945, ci veniva in mente perché il prossimo ottobre (da 16 al 20) è di scena la Germania. “Sono sveglia – fiore in ascolto / nel fogliame ronzante”. Si apre infatti il sipario sulla 76esima edizione della Fiera del Libro di Francoforte, la Frankfurter Buchmesse, nata nel 1949. “Scivolo come su trame d’aria / il tempo in cerchio, a palla”. Quest’anno l’Italia è il paese ospite d’onore, l’ultima volta fu trentasei anni fa. “Radici nel futuro” è l’espressione scelta per presentare la ricchezza della nostra cultura e della sua tradizione in un dialogo rivolto al futuro, secondo Armando Varricchio, ambasciatore italiano in Germania.
“La tua anima che ama la mia anima / è intessuta con lei nel Tibet del tappeto… / I nostri piedi sulla bella trama / per mille e mille maglie son lontani”.
È noto che si tratta di un evento di rilievo internazionale per il massiccio numero di visitatori e per il coinvolgimento del mondo letterario, editoriale, digitale presente con stand e autori provenienti da più di un centinaio di paesi. “Nel marmo del tuo gesto / la mia vita meglio si ricorda / il cammino però mi è ignoto”. Un’importante occasione di scambio e conoscenza sul piano culturale che passa attraverso l’editoria. “Tutte le buone e le cattive fonti scrosceranno”. Ce ne siamo già occupati lo scorso anno per via del tema della traduzione. “Nella profondità barcollano le acque / e si accalcano là e cadono a terra”.
Non entriamo nel merito delle polemiche in corso, che vanno sotto il nome di “caso Francoforte”, qui procediamo per pretesti, e quindi ci limitiamo a usare la Buchmesse come pretesto per raccontare Else Lasker-Schüler, una delle voci più grandi della letteratura contemporanea tedesca, e non solo. “Io voglio teneramente insegnarmi a te / già sai dire il mio nome”. Poetessa fiabesca nell’animo. Firmava le sue lettere con nomi esotici, uno dei preferiti era Yussuf Principe di Tebe che sarà poi il protagonista del suo romanzo autobiografico “Il mio cuore”, intriso di quel tragico umorismo che la caratterizzava.
“Ho vissuto per cinque anni in oriente, e da allora vegeto”, questa è la nota biografica che la Schüler considerava più significativa dicendo di sé. Noi aggiungiamo che era figlia di un banchiere di origine ebrea e di una madre che tanta parte ha avuto nella sua formazione interiore e letteraria. “Vogliamo conciliarci la notte / se ci abbracciamo non moriamo”. Una famiglia numerosa, colpita da lutti che ne hanno minato la serenità e l’equilibrio. “Sulla mia fronte il solco duole”.
“I miei pensieri si increspano / io devo danzare”. Esile come un ragazzino. “Sempre io mi auguro qualcosa”. Amava dare soprannomi agli amici. “Io devo chiamare il tuo nome”. Forte e impervia sulla pagina. Ha l’urgenza di trattenere un paradiso perduto che si porta dentro. “Che cos’è la silenziosa voglia d’aria / questa oscillazione sotto di me”.
Ha pubblicato anche opere teatrali e in prosa che dimostrano il valore poliedrico della sua capacità espressiva e della sua grandezza letteraria. La sua prima raccolta di poesie è del 1902, l’ultima è del 1943. “Quando io mi giro sopra i fianchi del tempo”. È considerata una delle principali esponenti dell’espressionismo, sebbene non fosse incline ad assecondare canoni di sorta, procedeva per invincibile passione e per sogno, “forse nella tua mano / dovunque lei si impiglia alla mia rete”, e traduceva in suono e immagini potenti la realtà della vita quotidiana, con una estrema perizia formale e una ricerca lessicale che si sviluppa anche attraverso l’uso di neologismi.
“I tuoi baci fanno buio alla mia bocca / io non ti sono più cara”. Nel mezzo dei due brevi matrimoni si realizza il percorso della sua affermazione artistica. “Il mio inferno cela il tuo regno dei cieli / Ah, possa tu dissolverti nel mio sangue”. Nel 1932 riceve il premio Kleist. “Io sono il tuo ciglio di strada / quella che ti sfiora / precipita”.
Il primo marito fu il medico Berthold Lasker, fratello del campione mondiale di scacchi degli anni venti, Emanuel. Con lui visse a Berlino. “Mi chiamava spesso nel sogno del vento”. Divorzia dal secondo marito, lo scrittore Georg Levin, dopo circa sette anni. “Tu non ti ricordi di me / dove me ne andrò con questo cuore”. Da qui in poi inizia il declino, e a causa delle precarie condizioni economiche è costretta a vivere grazie all’aiuto di alcuni amici, fra cui Karl Kraus che la riteneva geniale, e istituisce un comitato di solidarietà per sostenerla. “Dall’orlo il freddo del mondo ho guardato”.
Il suo destino si compie nel mezzo della guerra che la investe e la travolge. “E il mio mondo tace”. Il nazismo la costringe a trasferirsi a Zurigo. “Vorrei tirare fili intorno a me… / per fuggire / verso di me!”. Qui vive in condizioni di estrema indigenza. Dorme sulle panchine, viene arrestata per vagabondaggio. “Cammino stretta ai muri delle case, perché i miei genitori dal cielo non possano vedere quanto sia diventata povera”.
Compie due viaggi in Palestina, il secondo, dentro la guerra, sarà l’ultimo poiché la Germania le revoca la cittadinanza e la Svizzera le nega il visto di rientro. “Mai presagii che la vita fosse cava”. Morirà nella terra promessa, in quel luogo che immaginava incantato e che le apparì diverso dalla fiaba che a lungo aveva pensato, “la natura nelle regioni brulle è una pallida rovina di verde che invoca urlando la primavera”.
Compie due viaggi in Palestina, il secondo, dentro la guerra, sarà l’ultimo poiché la Germania le revoca la cittadinanza e la Svizzera le nega il visto di rientro. “Mai presagii che la vita fosse cava”.
Refrattaria alle convenzioni sociali. Sonora e immaginifica. “Vorrei origliare al tuo cuore”. Ha una formazione da disegnatrice, alcune delle sue opere sono illustrate da lei stessa, ma soprattutto la sua parola ha la vividezza di un disegno in cui ogni dettaglio ha qualcosa da comunicare, e di continuo si rivela in un dire polisemico. “Dio di bocca in bocca”. E si può affermare che c’è il mondo nei suoi versi, quello ebreo, arabo e cristiano, espresso in lingua tedesca, e questo dato poteva e potrebbe apparire quasi ossimorico. “La tua voce sparge eterno azzurro / sul mio cammino / Ovunque tu parli, è cielo”.
Aveva bisogno di sentirsi vicina agli altri. Voleva avvicinare le cose in un abbraccio. “Il mio cuore accende i suoi cieli”. Sognava la conciliazione della diversità, un ritorno all’idillio di un tempo perfetto che tanto somiglia all’infanzia. “Vorrei che il mondo fosse ancora un bambino / e a me sapesse raccontare dal primo respiro”. Non è mai riuscita a sentirsi a casa, sebbene desiderasse che il mondo intero fosse casa per tutti. “Crescono irrequiete oscurità”. Giudicata troppo ebrea in patria e troppo filo arabo-cristiana dai sionisti in Palestina. “Io mendico sempre davanti alla tua anima / lo sai?”.
Sognava la conciliazione della diversità, un ritorno all’idillio di un tempo perfetto che tanto somiglia all’infanzia. “Vorrei che il mondo fosse ancora un bambino / e a me sapesse raccontare dal primo respiro”.
L’amico Gottfried Benn – che lei chiamava il nibelungo, e al quale dedicò versi d’amore – asseriva che la scrittrice fosse la perfetta incarnazione lirica dell’elemento ebraico e di quello tedesco. “Senti il mio vivere / dovunque / come orlo lontano?”.
Else Lasker-Schüler pensa l’amore come una via di fuga, come uno spazio d’aria in mezzo all’asfissia. “Dal tuo oro pende ogni mio sogno / ho scelto te tra tutte le stelle”. E in fondo è proprio a una cosa del genere che dovrebbe somigliare questo sentimento così indicibile, ma chissà perché a dirle, alcune cose, sembrano quasi sciocche. “Dove devo andare? / O madre mia, tu lo sai? / Anche il nostro giardino è morto”.
Passionale e spirituale. Sensuale nel lirismo. “Mai più lascerò il peccato / E fosse anche pieno di lacrime / e tu morissi nella mia vampa ardente”. Il suo unico interesse sembrava essere la poesia. “La sua ombra si trattiene incomprensibile / sulla sera della mia stanza”. Nonostante le difficoltà economiche cercò di essere sempre attiva sul piano letterario. “La poesia avviene in me”. Sosteneva che il poeta è una pianta e non si cura di ciò che gli altri faranno con il frutto. “Non spegnere il mio cuore / tu che trovi la strada / eternamente”.
Stravagante nell’abbigliamento, un po’ odalisca e un po’ hippy. “Forse il mio cuore è il mondo / batte / e cerca ancora te”. Carica di gioielli appariscenti. Parata come Sant’Agata, si dice dalle mie parti. “I vortici del vento litigano con la vita, / devotamente placida tengo le mani / sul mio grembo vinto di pietà”. Si mascherava, questa donna, era un continuo carnevale, forse per il bisogno di un’identità che la facesse sentire parte di qualche luogo, forse per la necessità di un secondo volto con cui fronteggiare l’esistenza. “Sempre devo fare come vuole la tempesta / sono un mare senza riva”.
Spigolosa e affettuosa al tempo stesso. “E come tutto si accalca e si stringe / nell’ultimo movimento”. Dopo la morte per tubercolosi dell’unico figlio, comincia a morire anche lei. “Di colpo mi fa male il mio orfanissimo cuore / fili insanguinati spaccano la sua quiete / due occhi scrutano feriti attraverso il suo involucro di marmo”.
Si mascherava, questa donna, era un continuo carnevale, forse per il bisogno di un’identità che la facesse sentire parte di qualche luogo, forse per la necessità di un secondo volto con cui fronteggiare l’esistenza.
Negli anni più intensi della sua attività di scrittrice, la Schüler trascorre del tempo nel Café des Westens, che lei definiva una patria notturna, il suo vagone da zingara. “Vieni, nascondiamoci più vicini / la vita giace in tutti i cuori / come nelle bare”. E’ qui che spesso scrive e che incontra e frequenta molti intellettuali e artisti che diventeranno gli amici che la sosterranno nel momento del bisogno, come il pittore Franz Marc, da lei chiamato cavaliere azzurro, che mette all’asta una delle sue opere per sostenerla. Con lui e con Gottfried Benn, la Schüler intrattenne una lunga corrispondenza, significativa per la comprensione dell’animo multiforme di questa donna. “ E’ tanta la mia pena nel dolore / crepuscolare… seppure le stelle / mi scendano a dormire nella mano”.
Uno dei verbi che preferiva era “trasfigurare”, ed è proprio quello che fa attraverso la scrittura, trasfigura la realtà in visione. “E tutti i pesi dei miei carichi / si trasfigurarono leggeri”. La sua scrittura è un costante Monte Tabor, un modo altro di guardare le cose intorno a sé, o di fuggirle. “Trasfigurato tu sorridi / lontano estraneo passi oltre il mio mondo”.
“Baciamoci più assorti”. Era una donna audace per i tempi che correvano, e forse audace lo sarebbe anche per i tempi che corrono oggi. “Io sogno così remota da questa terra / come se fossi morta / e più non avessi forma”. Nella Schüler, c’è una certa inclinazione alla malinconia, tipica nei poeti, che è cosa diversa dalla tristezza. “Il mio cuore cade solenne in scure pieghe”. La malinconia si presenta naturalmente all’animo quando si ha l’attitudine a guardare il dietro delle cose, a misurare passo dopo passo il dietro le quinte della vita, e ad acquisire consapevolezze che tornano utili, strada facendo. “Ognuno fa ritorno nel suo morto cuore”.
“Ma il suo cuore sognante / mormora sul mio fondo”. Nei suoi versi ritornano spesso il cuore, le stelle e il colore azzurro che di volta in volta assumono una connotazione diversa, ora sono speranza del possibile, ora sono nostalgia dell’impossibile. “Oh vorrei partire dal mondo! / Ma anche lontano da qui / io erro, il mio lume vacilla / intorno alla tomba di Dio”. È morta per un attacco di cuore, la Schüler, “e ancora, ancora la risonanza / in me”.
“L’inverno ha giocato con la morte nei nidi / e la brina ha intirizzito tutte le parole d’amore”. Lo diciamo sempre che la cifra dei grandi autori (ricordati o dimenticati), una delle misure per riconoscerli, è l’attualità, la loro capacità di aderire al presente, e di fornire strumenti di riflessione come pure la possibilità di una visione di noi attraverso lo specchio che il loro dire ci mette davanti al viso. “Si chiudono come rose le nostre mani… / tu, noi vogliamo / amarci come cieli giovani”. Perché dovremmo leggere una poeta morta quasi ottant’anni fa? Per infinite ragioni. Per esempio perché la grande letteratura è eterna nella sua sostanza, sa dirci sempre qualcosa. Perché la Schüler è il simbolo di ogni esistenza esule ed emarginata. Perché in un mondo che punta all’inclusività e lo fa malamente, creando ghetti, massacrando la lingua, la Schüler ci invita alla tolleranza e al rispetto, che non possono esistere senza la reciprocità. “Ci fioriscono gli occhi / se ci guardiamo”.
A noi piace pensare che le sue parole, così esatte, provengano “dal blu e dal bianco delle nuvole”, e con riconoscenza ci avviciniamo allo specchio che ci offre. “Una dolcezza scrosciante / scorre nella vita malinconica… / e un punto diventa la mia danza”.