Le serie tv turche copiano i drama asiatici, ma spopolano con un tocco osé

Priscilla Ruggiero

Ankara ha visto del potenziale nei K-drama (le fiction sudcoreane), così ne ha riprodotte più di quaranta  ed esportate in tutto il mondo.  Le somiglianze culturali e il segreto del successo delle dizi (così le chiamano in Turchia) diventate ormai elemento di soft power  

I drama asiatici, soprattutto quelli prodotti in Corea del sud e Giappone, sono ormai da tempo molto popolari in occidente, con un pubblico sempre più crescente su piattaforme streaming dedicate come la giapponese Rakuten Viki, spesso in lingua originale con sottotitoli tradotti in ogni lingua dalle community di utenti. Ma negli ultimi anni anche   le piattaforme americane hanno deciso di investire moltissimo    soprattutto nei K-drama – le serie tv coreane – e Netflix  ad aprile dello scorso anno si è impegnata a puntare 2,5 miliardi di dollari  sulla Corea del sud nei successivi quattro anni, anche per differenziarsi dai contenuti di altre aziende come Apple e Disney. Oltre agli Stati Uniti c’è però un altro paese che ha messo gli occhi sulle serie asiatiche comprendendone il loro potenziale: la Turchia. Le soap opera turche sono riuscite a spopolare con  un ritmo sorprendente negli ultimi anni, tanto da diventare un elemento di soft power per Ankara all’estero: è ormai uno dei primi paesi esportatori di serie televisive e sempre più turisti scelgono la Turchia come meta proprio perché ambientazione delle loro storie e intrighi preferiti.

 

 

La Turchia è  tra i primi  paesi esportatori di programmi televisivi, superando anche la Corea del sud, con un aumento del 184 per cento della domanda di contenuti turchi tra il 2020 e il 2023 rispetto al 73 per cento di quelli sudcoreani, su cui non solo ha vinto (per ora) ma ha anche puntato: sempre in cerca di contenuti originali,  prende spunto proprio dai drama asiatici. Secondo il quotidiano giapponese Nikkei, dal 2014 la Turchia ha prodotto il remake di oltre 40 drama sudcoreani e di 10   giapponesi dal 2016, con le società di produzione turche che hanno poi venduto i diritti di trasmissione  a 100 paesi, tra cui diversi in occidente. Grazie ad alcune somiglianze culturali con la Corea del sud, i produttori turchi con lungimiranza hanno visto del potenziale successo nei K-drama, che “si concentrano sugli scontri tra famiglie, tra classi ricche e povere, sulle emozioni dei personaggi e mettono l’accento sul romanticismo piuttosto che sui contenuti sessuali”, come accade   nei telefilm turchi, ha detto  l’amministratore delegato di un’agenzia televisiva turca al Nikkei.  

 

Uno dei remake turchi dei K-drama  di maggior successo quest’anno è stato   “Bahar”, ha funzionato in Turchia,  sta funzionando all’estero con il titolo di  “Blooming Lady”, ma ancora prima aveva funzionato   in Corea del sud,  “Doctor Cha”, poi  disponibile anche all’estero su Netflix.  “Bahar” ha battuto però tutti i record    superando gli ascolti turchi in tutti gli episodi tranne il primo. E così il remake turco ha  venduto i diritti di trasmissione in oltre 50 paesi, tra cui Egitto, Grecia, Russia, Stati Uniti e Spagna. Un altro esempio è la serie tv giapponese “Mother”, uscita nel 2010 e arrivata sugli schermi turchi nel 2016 senza stravolgere nemmeno il titolo. Ma i K-drama riadattati funzionano di più: c’è Yüksek Sosyete (riadattamento della coreana High Society), Iyilik   di Show Window, Mahkum   di Pigo-in, Tas Kagit Makas di Adeur-ui jeonjaeng e Kasaba Doktoru di Nangman doctor Kim Sa-bu. 

 

Si stima che le serie tv turche siano guardate in più di 170 paesi da circa 750 milioni di spettatori. Sono arrivate anche in Asia, dove piacciono per gli stessi motivi  per cui quelle asiatiche piacciono alla Turchia, ma non è un caso che facciano molto più successo da noi: meno pudiche delle serie tv coreane, cinesi o giapponesi, con una scelta accurata di attori (spesso modelli) turchi, rispecchiano più i canoni di bellezza occidentali, ed è per questo motivo che, per quanto riguarda l’esportazione, le dizi, così le chiamano in Turchia, sono seconde solo agli Stati Uniti.           
 

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