Una scena di "The Passenger", un'altra opera di Mieczyslaw Weinberg - foto Ansa

La recensione

In balìa di nazisti e comunisti, l'ebreo Weinberg scriveva capolavori

Alberto Mattioli

"L'idiota" di Mieczyslaw Weinberg è stata la rivelazione dell’estate: capolavoro. Il compositore polacco è riuscito a creare una opera lirica di straordinaria bellezza e intensità anche grazie alla produzione, diretta da Krzysztof Warlikowski e Mirga Grazinyte-Tyla

Mai più senza. La rivelazione dell’estate arriva da Salisburgo. È L’idiota di Mieczyslaw Weinberg (1919-1996) ed è riassumibile in una sola parola: capolavoro. Weinberg meriterebbe attenzione anche solo per la sua biografia, un concentrato delle peggiori sventure novecentesche. Si chiamava in realtà Mojsze, nato da una famiglia ebrea emigrata in Polonia per sfuggire ai pogrom zaristi in Moldavia, dove morirono i nonni. Nel ’39, il promettentissimo Mojsze si diploma al Conservatorio di Varsavia e dovrebbe andare a studiare in America. E qui, tragico sliding doors: Hitler attacca, lui finisce in Urss invece che negli Usa, il resto della famiglia viene assassinato nel campo di Trawniki. Con i comunisti le cose non vanno molto meglio.
 

Nel ’49, quattro composizioni di Weinberg vengono messe all’indice in quanto “formaliste”, e lui sottoposto a stretta sorveglianza, anche perché il suocero è il famoso attore ebreo Solomon Michoels, morto in un incidente d’auto fabbricato dal Kgb. Nel ’53, Weinberg anche viene arrestato nel corso dell’ultima purga staliniana, quella antiebraica del “complotto dei dottori”, ma si salva perché Stalin muore e Šostakóvich, amico e sostenitore, lo aiuta. Resterà però sempre marginale, costretto a scrivere colonne sonore per il cinema, i cartoni animati e perfino per i circhi, fino all’immancabile riabilitazione. Il catalogo di Weinberg, tuttavia, è sterminato e comprende anche sette opere liriche, quasi tutte rappresentate postume. Ci sono una Passeggera su Auschwitz, meravigliosa, che è in cartellone alla Bayerische di Monaco, ma anche dei titoli che non ti aspetti, come un Amore di d’Artagnan e una Lady Magnesia da Shaw.
 

L’ultima opera è, appunto, L’idiota, da Dostoevskij (per inciso, quest’anno al Festival Fëdor va forte: si dà anche una bellissima produzione del Giocatore di Prokof’ev), che fu rappresentata a Mosca in una versione ridotta il 19 dicembre 1991, sei giorni prima delle dimissioni di Gorbaciov e della fine dell’Urss e poi, completa, nel 2013 a Mannheim, ad autore morto. Negli ultimi anni, su Weinberg si è riacceso l’interesse (Italia, al solito, non pervenuta), ma non è esattamente un autore popolare; chapeau quindi al direttore artistico di Salisburgo, Markus Hinterhäuser, che ha fatto di questo Idiota il titolo più acclamato del Festival.
 

L’opera merita. Sembra scritta cinquant’anni prima della sua epoca (e non è detto che sia un demerito), in un linguaggio tonale e raffinatissimo, con molti echi di Šostakóvich, evidentemente, ma anche con un lirismo melanconico e trattenuto che, a tratti, evoca addirittura Ciajkovskij. I primi due atti sono forse un po’ prolissi, anche perché il libretto di Aleksander Mendvedev segue troppo da vicino il romanzo. Gli ultimi due, perfetti, e il finale sconvolgente per tensione e commozione. Weinberg è l’ennesima dimostrazione che per “fare” il grande operista essere un grande musicista è condizione necessaria ma non sufficiente (vedi il caso di Schubert): serve anche il senso del teatro, e lui ne aveva da vendere. Poi naturalmente bisogna crederci e metterlo in scena con l’impegno e i mezzi che merita. Com’è avvenuto a Salisburgo, con la regia di Krzysztof Warlikowski, un virtuoso del teatro in grado di padroneggiare come pochi il palcoscenico impossibile della Felsenreitschule, benché lo spettacolo sia forse un po’ troppo “evidente” per le sottigliezze psicologiche di Dostoevskij. Mirga Grazinyte-Tyla dirige con precisione e decisione dei Wiener in grande serata, e in un’opera del genere ha il pregio fondamentale di dare gli attacchi, e darli proprio tutti. Compagnia dove sono uno più bravo dell’altro, da Ausrine Stundyte che fa Natasja Filippovna in giù, e tenete d’occhio il giovin mezzosoprano australiano Xenia Puskarz Thomas perché ne risentiremo sicuramente parlare. Anzi, no: il più bravo di tutti è l’idiota del titolo (fuorviante, peraltro), il principe Myskin, alias l’ucraino Bogdan Volkov. Non avevo mai visto un tenore cantare, e come, recitando alla perfezione una crisi epilettica. Semplicemente formidabile.

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