Libertà d'espressione
La cancel culture vince. Uno studio accademico americano dimostra l'efficacia del conformismo
In venti anni, oltre un milone di persone hanno scelto sempre meno di difenderel pubblicamente e loro convinzioni per timore del pensiero altrui: così l'Università del Michigan mette in guardia sul rischio di creare masse di persone infelici e omologate, soffocandone l'unicità
Marc Fumaroli aveva capito che anche in Europa sarebbe arrivata l’onda lunga dell’utopia americana. Fra i massimi critici culturali del Novecento, aveva descritto tutto in un libro, “Lo stato culturale” (Gallimard e Adelphi). Vi parlava di un nuovo “microclima di euforia contagiosa”, di “conformismo ostentato”, di “perpetuo festival su commissione, in cui pubblicità e propaganda, divertimento di bassa lega e informazione mutilata, si intrecciano in modo inestricabile”.
Distinguersi così ha perso la sua valuta sociale. Secondo uno studio condotto su un milione di persone dall’Università del Michigan, dal 2000 al 2020, il valore attribuito all’essere diversi e all’infrangere le regole è crollato e le persone sono diventate meno disposte a esprimere opinioni impopolari. Secondo i ricercatori, il bisogno di “inclusione” e il bisogno di “autenticità” sono in contrasto, ma il primo ha la meglio. E rende le persone più desiderose di conformarsi. Ma il cambiamento è coinciso con la crescita di Internet, che ha fornito canali nuovi e creativi per la vergogna sociale e il conformismo imposto. Altro che “mito” e “complotto della destra cattiva”: la cancel culture funziona. Siamo dentro quello che Norman Mailer aveva scritto sulla rivista Dissent nel 1957 in “The White Negro”: “La nostra condizione collettiva è convivere con una morte lenta per conformismo. Una società totalitaria mette a dura prova il coraggio degli uomini, e una società parzialmente totalitaria ancora di più, perché maggiore è l’angoscia generale”.
Lo studio, pubblicato su “Collabra: Psychology”, ha monitorato il desiderio di oltre un milione di persone di distinguersi o essere uniche dal 2000 al 2020. Più drammatico di tutti è il crollo della riluttanza delle persone a difendere pubblicamente le proprie convinzioni e una maggiore preoccupazione per ciò che la gente pensa di loro. Questi dati suggeriscono che gli individui ritengono che esprimere la propria unicità potrebbe compromettere la loro capacità di adattarsi al sistema e portare all’ostracismo. William Chopik, autore principale dello studio e professore presso il Dipartimento di Psicologia, dice: “Le persone hanno paura di attirare troppa attenzione su se stesse, potenzialmente perché così facendo le rendono vulnerabili o a rischio di essere ostracizzate ( o annullate). È davvero importante avere persone disposte ad andare controcorrente: dire cose impopolari occasionali, sfidare il pensiero di gruppo e non nascondere la diversità di opinioni”.
Come Fumaroli e Mailer, è quello che aveva detto Benedetto XVI dal Castello di Praga, di fronte ai rappresentanti del mondo universitario, secondo cui esistono oggi “forme sottili di dittatura: un conformismo che diventa obbligatorio, pensare come pensano tutti, agire come agiscono tutti”. Da qui, in America come in molti paesi europei, l’esplosione di una doxa accademica e culturale fortissima su tanti temi che “scottano” e la fine del dissenso con la scomparsa degli ultimi dinosauri conservatori. “Il conformismo è la pace di colui che si sente in armonia con la massa che lo attornia, oppure è l'inquietudine, il disagio, lo smarrimento di chi si allontana dalla norma”, scriveva Dino Buzzati in “Sessanta racconti”. “È una forza tremenda, piú potente dell’atomica”.
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