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Letture

Le profonde radici della crisi della fede dopo il '68 secondo Luigi Giussani. Un libro

Massimo Camisasca

Secondo il teologo alla radice della crisi del cristianesimo c’è il problema del male: gli uomini sono scandalizzati dal male, come se il suo permanere nel mondo attestasse il fallimento di Gesù e della Chiesa. L'estratto dal nuovo volume "Nulla di ciò che è umano mi è estraneo. Luigi Giussani e la letteratura"

Pubblichiamo un estratto di “Introduzione a don Giussani”, il nuovo libro di mons. Massimo Camisasca edito da San Paolo (288 pp., 20 euro). Oggi alle ore 15.00, al Meeting di Rimini, l’autore interverrà all’incontro “Nulla di ciò che è umano mi è estraneo. Luigi Giussani e la letteratura”.
 



Nel Sessantotto e negli anni immediatamente successivi, Giussani si interroga sui motivi dell’abbandono della fede da parte di molti cristiani. A suo avviso alla radice della crisi c’è il problema del male: gli uomini sono scandalizzati dal male, come se il suo permanere nel mondo attestasse il fallimento di Gesù e della Chiesa. Così alla fede nel Signore subentra il tentativo di salvarsi con le proprie mani e quindi la fiducia acritica nel proprio lavoro, negli sforzi organizzativi e nelle battaglie politiche.
 

Giussani lo spiega in un intervento del maggio 1970. Anzitutto egli parla dello scandalo per il male presente nella società: “Noi siamo urtati, feriti inevitabilmente dal male nella sua versione più clamorosa, quella sociale, cioè l’ingiustizia”. Subito dopo egli indica un altro male, ancora più profondo, che si annida nella struttura stessa della vita, e parla della morte, della malattia e del tradimento. Di fronte a questi fenomeni “ci si sente portati a fare l’analisi della situazione e delle strutture, e ad agire sulle medesime; e ci si mette assieme, perché da soli si fa ben poco. E quel che non si riesce a fare insieme lo farà la storia e i nostri posteri”. Il tentativo, però, è vano: quale cambiamento di struttura potrebbe mai redimere il passato? Quale nuova organizzazione sociale potrebbe mai riportare in vita le vittime dei campi di concentramento e di tutti i totalitarismi della storia? “Le posizioni che l’uomo assume con la volontà di eliminare il male nel mondo, partendo dal presupposto che il male sia nelle strutture, sono unilaterali, sono costrette per affermarsi a dimenticare o rinnegare qualcosa”.
 

Dunque l’esito è sempre terribile, perché “a una violenza subentra un’altra violenza”. Chi attende la salvezza dalla rivoluzione sociale, pretendendo di fatto di sostituirsi a Dio, dimentica che il male abita all’interno dell’uomo. Anzi, esso trova origine proprio nella volontà di indipendenza dal Signore che fa tutto. Poi il male, per quella comunanza che lega fra loro tutti gli uomini, ha anche un influsso sociale. Per sconfiggerlo serve dunque un fattore diverso, capace di agire nella storia e tuttavia più grande dell’uomo; serve cioè il Dio incarnato, morto e risorto: “Io non posso dire altro: è la storia che mi porta l’annuncio che il male è vinto in me da un Altro”. La fede è l’unica giustizia Se la salvezza viene da Cristo, l’uomo ha il compito di aprirsi con semplicità alla sua presenza: “La libertà, che è povertà di spirito, è l’attendersi tutto da quell’avvenimento”. Giussani non si riferisce soltanto all’attesa del momento in cui Gesù tornerà per instaurare finalmente il mondo redento, ma sottolinea anche che la vita cristiana è già anticipo della novità. Infatti, ancora una volta, il suo insegnamento si attesta sul valore della comunione, nella quale la liberazione diventa esperienza: Cristo ha promesso a chi lo segue non solo la salvezza futura, ma anche il centuplo nel presente, sulla terra (cfr. Mt 19,29; Mc 10,30); la Chiesa è il luogo in cui lo Spirito già inizia a trasformare il mondo. Chi ha ascoltato Giussani parlare in quegli anni lo ricorda anzitutto come un grande educatore alla fede: “Il discorso cristiano è solo la fede: che il valore mio, vostro e delle cose è Cristo”; “La personalità cristiana è definita dalla fede, anche se sei fragile e timido”.
 

Nei suoi interventi ritorna più volte una frase di san Paolo, ripresa dall’Antico testamento, per cui il giusto vivrà per la sua fede (Ab 2,4; Rm 1,17; Gal 3,11). Giussani la citava con intento polemico, anche leggermente parafrasata: “La giustizia è la fede”. La fede in Cristo è stato il fondamento sul quale egli ha costruito tutta la casa del suo Movimento nel Sessantotto e negli anni successivi, permettendo a tanti uomini di scoprire o riscoprire la fecondità e la bellezza della vita cristiana.

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