Da Rimini
L'essenziale? È un voler bene alle cose che svela la loro provenienza
Al Meeting di Rimini si è svolto il dialogo filosofico tra Andrea Bellantone dell’Institute Catholique de Toulouse e Costantino Esposito dell’Università di Bari sul tema: “Che cosa significa ‘cercare’ l’essenziale? La natura umana come domanda di senso”: un problema filosofico antico, ma anche estremamente contemporaneo
Il titolo del Meeting di Rimini di quest’anno mette a tema una ricerca che è come la chiave di volta nella vita delle persone e della società: “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?”. Ma l’essenziale che cos’è? Cos’è che conta veramente per il singolo io, e insieme per il mondo intero? Cos’è imprescindibile nell’esistenza, come sua condizione e come suo fine? Si tratta di una questione tutt’altro che generica o scontata, anzi si ha quasi ritrosia o pudore a porla a sé stessi e agli altri. E si capisce perché, visto com’è facile cadere nell’enfasi retorica sui principi basilari (e spesso astratti) del vivere, o lanciarsi in raccomandazioni morali su ciò che si deve o non si deve fare per essere coerenti con il valore supremo dell’esistenza.
La domanda su cosa sia veramente decisivo per la vita risuona quasi straniante, oggi, nell’epoca in cui i criteri essenziali del vivere sembrano essersi sfrangiati o sbiaditi o smarriti. Non che non ci sia più niente di essenziale, anzi, per ogni cosa, per ogni situazione, impresa, progetto noi possiamo esibire un “essenziale” riferito di volta in volta ai singoli obiettivi che ci poniamo e ai mezzi con cui raggiungerli. Ogni nostra mossa, ogni azione nei diversi àmbiti della vita personale e sociale, gira attorno al suo fuoco relativo, ed è appunto l’essenziale di quel pezzo di realtà o di quel momento dell’esistenza, che può essere anche diverso o conflittuale rispetto ad altre condizioni o situazioni.
Ma qui è in questione qualcosa di più radicale: cercare l’essenziale non vuol dire solo riconoscere ciò che determina la natura di una singola cosa o situazione (che sia l’essenza dell’economia o della vita affettiva, della politica o della scienza, della natura fisica o dell’arte), ma cercare anche il nesso che tenga insieme e dia unità a tutte quelle cose e situazioni, chiedendo non solo ciò che conta in ciascuna di esse, ma ciò che più conta dell’insieme e nell’insieme del nostro esistere nel mondo.
Strana duplicità dell’essenziale. Nella grande tradizione filosofica esso rimanda originariamente all’essenza, cioè alla natura o alla forma che costituisce una cosa di per sé, e grazie a cui possiamo “definirla” (l’esempio classico è l’essenza dell’essere umano come un animale dotato di logos). Ma l’essenziale va anche riconosciuto attraverso il giudizio e le scelte di un soggetto consapevole, che riconosca ciò che è fondamentale rispetto a ciò che è accidentale, ciò che bisogna preferire o relativizzare in quanto più o meno adeguato al cammino del vivere e alla realizzazione di sé.
Insomma, l’essenziale è sempre ontologico e insieme storico; dipende da come stanno le cose e da come noi stessi siamo chiamati a formarle nel tempo. Di qui nascono i due estremi in cui l’essenziale è stato interpretato nella storia del pensiero: da un lato come alcunché di “sostanziale”, una sorta di identità fissa, immutabile. In tal senso l’essenza di una cosa è determinata una volta per tutte in quello che essa è, e basta. Dall’altra parte l’essenza è stata mobilizzata, sciolta nel puro divenire delle cose, intesa dunque come un destino di mutamento perenne che non si può fissare mai in un’identità stabile. In realtà i due versanti sono sempre implicati l’uno nell’altro. Come già aveva osservato Hegel, il termine “essenza” esprime proprio un movimento, la dinamica del “venire ad essere”, del pervenire a sé stessa di una cosa. Per questo l’essenza è qualcosa che si può cogliere solo cercandola; e noi possiamo giungere all’essenziale nella misura in cui non lo possediamo una volta per tutte, come un acquisto definitivo, ma ci mettiamo sulle sue tracce, dandogli la possibilità di rivelarsi a noi. L’essenza delle cose non è stabilita da noi, ma ha bisogno del nostro pensiero per potersi dare.
Ho trovato in Martin Heidegger un suggerimento di grande interesse sulla via per cercare l’essenziale. Nella sua celebre “Lettera sull’‘umanismo’” (1947) egli afferma che il pensiero umano è proprio il luogo in cui accade l’essenza delle cose, perché in esso si può “ascoltare” l’essere. E l’essere significa un voler-bene alle cose, un preferirle che “dona loro l’essenza”. Questo è il potere proprio dell’essere, la sua “forza silenziosa”: far-essere le cose, farle pervenire alla loro essenza, renderle possibili e mantenere desta in loro una possibilità che è più ampia e più profonda di ogni singola realizzazione. L’essenziale è il manifestarsi di una nascosta, ma ben presente, provenienza delle cose. Una provenienza che non si esaurisce mai una volta per tutte, ma continua a sostenere la presenza irriducibile di quello che c’è al mondo. Cercare l’essenziale non significa allora attestarsi su ciò che è in nostro possesso, ma tenere aperta la possibilità del reale. L’essenziale è che possa accadere sempre l’imprevedibile per noi.