Estate con Ester
Quelli che le ferie. Pallidi o rosolati, nella bolgia o in solitaria, mai al sicuro dal rischio tristezza
Uno spaccato estivo, con un elenco (disperato) delle innumerevoli bugie, abitudini e luoghi comuni che compongono le vacanze di ciascuno di noi
Quelli che dovevano andare in vacanza per ricaricare, ma non hanno capito dove si attacca la presa di corrente, qua non ricarica niente, sono più stanco di prima.
Quelli che hanno scelto il posto decadente e sperduto dove non c’è nessuno e scoprono che si sta proprio così, decadenti e sperduti. E non c’è nessuno.
Quelli che l’unico posto della vera vacanza è Ibiza.
Quelli che abbronzati si sentono meglio, più giovani, sfinati.
Quelli che l’acqua di mare asciuga.
Quelli che si sono detti “ma sì, andiamo al mare” coi figli piccoli e hanno giurato davanti a Dio che mai più, lo iodio se lo piglieranno in pasticche, l’anno prossimo li si manda in colonia dalle suore a imparare l’educazione.
Quelli che hanno girato sette aeroporti.
Quelli che vanno solo in montagna, quelli che “io stacco solo sull’isola”, quelli che al mare.
Quelli con la villa che si lamentano che da quando hanno fatto la piscina non escono proprio più.
Quelli pallidi, che non si abbronzano, venati di tristezza.
Quelli che non si bruciano mai, razza evoluta, viva.
Quelli che leggono il grande classico in spiaggia.
Quelli che leggono il grandissimo classico.
Quelli che hanno comprato il primo libro in offerta e non gli sta piacendo, sono a pagina uno e mezza.
Quelli che stanno stesi sul lettino con gli occhiali da sole e non dicono niente, non bevono manco l’acqua, chissà a che pensano.
Quelli che gli agosti degli altri li odiano, e così rileggono Natalia Ginzburg.
I giorni fino al ferragosto ci sembrano eterni. Detestiamo la città vuota nel sole accecante, i cinematografi vuoti dove si danno film di terrore. Assistiamo a quei film con indifferenza sia perché sono brutti, sia perché siamo già per conto nostro in preda al terrore. Detestiamo però più ancora la folla dei treni. Tutti partono, e ci chiedono se anche noi partiremo. Impossibile rispondere, quando siamo nel numero di quelli che non hanno voglia né di partire né di restare.
Quelli che invece l’estate la odiano perché vorrebbero tanto partire per un posto bello. Anche poco bello, basta un metro di mare, non importa dove.
Quelli che l’estate la amano come Flaiano, e si fanno bagni al mare che non finiscono mai tanto che a un certo punto ti chiedi come fanno a non spugnare. Stanno in estate come stanno i pesci nel mare.
Mare vivo, azzurro, freddo. Deliziosa sensazione di calma, di pace finalmente raggiunta.
Quelli che vanno in pescheria e si danno pose di saper riconoscere il pesce pescato dal pesce allevato, e il pescivendolo gli rifila apposta il pesce più fetente di tutti.
Quelli che provano tutti i gusti del gelato, anche mentatorroncino, e quegli altri che prendono sempre nocciola e pistacchio.
Quelli che si sentono soli e quelli che si sentono in troppi, non c’è un attimo di pace.
Quelli che postano su Instagram pure i buchi dei calzini.
Quelli che ci istruiscono sulla nuova civiltà di cui stanno imparando tutto durante il viaggio di dodici giorni.
Quelli che documentano la ricchezza, quelli che documentano la povertà.
Quelli che diventano improvvisamente tristi, e solo loro sanno perché, e allora diventa importante avere l’amico che viaggia leggero, quello che si accorge di tutto e fa finta di niente, e risolve con un: ora ti racconto che cosa mi è successo quella volta. È tutto inventato, ma la tristezza non fa in tempo a scoprirlo, e se ne va.
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