Il monumento di Karl Marx a Chemnitz, in Germania (Foto LaPresse)

Sfide contemporanee

Si ripubblica Marx ma il conflitto è un altro. Il libro di Scheidler

Alfonso Berardinelli

Tecnica contro organismi: siamo forse arrivati al punto in cui la funzione umana viene dissipata e condizionata dalle macchine (sociali, culturali e tecnologiche)?

Siamo alla fine della favola? Macchina e organismo. Macchine contro organismi. Le macchine, in quanto invenzioni e prodotti dell’organismo supremo per eccellenza, l’homo sapiens, che però sfuggono dalle mani del loro creatore e ne prendono in mano il destino storico. Il più famoso e geniale filosofo e scienziato sociale degli ultimi due secoli, Karl Marx, un tedesco trapiantato a Londra che per quanto riguardava sé stesso non imparò mai a vivere e lavorare nell’agio economico, scelse come oggetto privilegiato di studio la società capitalistica, con la sua storia passata e futura. Con il futuro azzardò molto, dato che non si liberò mai dell’idea sociale utopistica. La criticò sprezzantemente nei socialisti utopisti, ma la riabilitò fondandola su basi presuntamente scientifiche (la scienza era diventata un mito). Per lui l’utopia comunista era una necessità oggettiva della dialettica storica. Le due classi in conflitto ineluttabile, capitalisti e operai, avrebbero lottato fino a rivoluzionare la struttura economica e politica. Le masse degli sfruttati avrebbero avuto in futuro la meglio sulle élite degli sfruttatori. La storia sarebbe dunque finita in utopia grazie a una rivoluzione così radicale da disinnescare la conflittualità dialettica primaria, abbattendo la macchina capitalistica e liberando l’umanità.


Questa “narrazione” (come si dice oggi in tv) è stata accantonata da diversi decenni. Se la Einaudi rifiuta ora di ristampare i Vangeli mentre ha appena ripubblicato il primo libro del Capitale di Marx deve esserci qualcosa nell’aria. Questo qualcosa è forse la sensazione che a un tale punto della sua storia il genere umano dell’Antropocene sta vivendo la sua ultima Era. Per evitare una brutta fine, cioè il suo disastro suicida, l’homo sapiens deve guardarsi attentamente allo specchio e probabilmente decidere di cambiare strada e vita. La crescita e lo sviluppo dell’attuale economia sono stati imposti da una macchina ammazza-organismi che nel trionfo del capitale domina la biosfera e il mondo. Si può anche rileggere la teoria di Marx in proposito, ma certo il Che fare? di Lenin non è molto attuale: la sua idea di rivoluzione non è chiara, una classe sociale obiettivamente rivoluzionaria non si vede, e di partiti politici guidati da rivoluzionari professionali non c’è traccia in nessuna società attuale, dalla più ricca alla più povera. Nelle culture umane quella che chiamavamo saggezza è scomparsa, è stata eliminata dalle scienze esatte, computazionali di cui siamo fieri, ma la cui vocazione è sovraprodurre macchine a cui delegare sempre più i poteri di scelta e di decisione su come vivere. Il non-vivente, cioè la macchina, dà e darà ordini a quello che ci sembrò il mirabile organismo umano pensante e parlante, forse il figlio prediletto del Dio creatore.


Il problema non è più, come credevano ancora i neomarxisti anni Sessanta, “l’uso capitalistico delle macchine”, è piuttosto la Megamacchina sociale e culturale, è l’antropologia che in vario modo e in crescita progressivamente accelerata caratterizza tutta la storia umana, dalle prime strutture di potere alla nascita dell’universalismo occidentale con il suo mito della modernità, dal Quindicesimo secolo a oggi.


Una tale storia ci viene di nuovo raccontata, in estrema sintesi, nel notevole libro di Fabian Scheidler “La fine della megamacchina. Storia di una civiltà sull’orlo del collasso” (Castelvecchi, pp. 385, euro 30). L’impianto della sua opera Scheidler lo riprende da Lewis Mumford che nel suo libro del 1967 Il mito della macchina, piuttosto ignorato, partiva dall’epoca delle piramidi per arrivare alla situazione futura in cui l’uomo avrà dominato la natura al punto di essersi distaccato, nella misura del possibile, dal suo habitat organico. “Grazie a questa nuova ‘megatecnica’, la minoranza dominante”, concludeva Mumford, “creerà una struttura uniforme, onnicomprensiva e superplanetaria capace di operare automaticamente. Anziché funzionare attivamente come personalità autonoma, l’essere umano diventerà un animale passivo privo di scopi e condizionato dalle macchine, le cui funzioni, secondo la visione attuale di tecnici e ingegneri, saranno assorbite dalle macchine o prevalentemente limitate e controllate a beneficio di organismi collettivi spersonalizzati”.
Eccetera, direi. Mi pare che ci siamo. Per ulteriori precisazioni si può dare un’occhiata a La Megamacchina di Serge Latouche (1995). I pubblicitari di oggi sono quotidianamente al lavoro per consigliarci le merci AI e ci stanno prendendo per mano come bambini per portarci nel famoso e luminoso futuro. Ci assicurano che tutto questo è e sarà anche “sostenibile”, qualunque cosa la parola significhi.

Di più su questi argomenti: