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la storia

Stravinskij che riscopre Gesualdo e si innamora a 80 anni dell'ultimo Beethoven. Un libro

Mattia Rossi

L'icona dell'avanguardia musicale studiò e reinterpretò il madrigalista rinascimentale: una dimostrazione di come l'arte contemporanea possa dialogare con il passato in modo sorprendente e profondo

Potrà sembrare insolito, ma un importante ruolo nella riscoperta novecentesca di uno dei compositori più iconici del tardo Rinascimento, Gesualdo da Venosa, lo ebbe uno dei compositori più iconici, invece, delle avanguardie: Igor Stravinskij. Fu lui, infatti, a condurre un serrato e rigoroso studio del madrigalista lucano che sfociò tanto nella ricerca musicologica quanto nell’originale ricostruzione strumentale di tre madrigali nota come “Monumentum pro Gesualdo di Venosa”.

Se questo interesse di Stravinskij per l’antico può sembrare anomalo, in realtà non lo fu affatto. E non ci riferiamo solamente alla sua fase neoclassica. E’  in libreria da poche settimane  un volume del Saggiatore, “Musica al presente” (504 pp., 28 euro), in cui Massimiliano Locanto e Gianfranco Vinay riflettono sull’attualità del compositore russo, del quale sono pure pubblicati alcuni testi finora inediti in Italia. Ed è proprio in questi scritti (ah, ce n’è uno spassoso in cui Stravinskij narra proprio della sua visita al castello di Gesualdo a Venosa) che l’autore rivela molto di sé e di molto inaspettato: “A ottant’anni ho ritrovato in Beethoven una nuova gioia, e la ‘Grande fuga’ ora mi appare – e non è sempre stato così – come un perfetto miracolo”. Il saggio si intitola “Pensieri di un ottuagenario” e assume una forza dirompente vista la condanna dello sperimentalismo da cui prende fermamente le distanze: “Recentemente, cercando di leggere un saggio sulle tecniche compositive attuali di uno dei massimi studiosi di musica ‘supra-seriale’, mi sono accorto di non capire una parola”. Del resto, prosegue lapidario sempre Stravinskij, “i suoni sterilizzati elettronicamente dalla rimozione degli armonici, per esempio, mi fanno ammalare. Per me sono come una minaccia di castrazione”.

L’autore del  “Sacre du printemps”, una delle pagine più rivoluzionarie del Novecento,  fu severissimo proprio con la musica a lui coeva: in un altro scritto  finora inedito e contenuto nel volume, si legge che “è vero che nessuna corrente musicale paragonabile a quella che fluì da Bach, Mozart o Beethoven è sgorgata da un qualsiasi compositore originale odierno; ma d’altronde né l’età né la natura della nuova musica si prestano a questo fluire”. E ancora: “Gli artisti delle vetrate di Chartres disponevano di pochi colori, mentre gli artisti del vetro di oggi hanno centinaia di colori ma nessuna Chartres. Anche gli organi ora hanno più registri che mai, ma non Bach. Non servono risorse più vaste, quindi, ma uomini e ciò in cui essi ‘credono’”.

Quello per il passato, nello Stravinskij degli ultimi anni, non fu un interesse archeologico o puramente estetico (o meglio: così era stato in precedenza): maneggiò la musica antica con rispetto e con un approccio sempre più, come si suol dire tecnicamente, storicamente informato. Perché, come concluse i suoi “Pensieri di un ottuagenario”, “l’occupazione dell’artista è proprio quella di riparare vecchie navi. Può dire nuovamente, a suo modo, solo ciò che è stato già detto”.

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