Sulla spiaggia di Pozzuoli affollata di bagnanti (foto Ciro Fusco/Ansa) 

Bagni a Napoli. Storie, da Ortese a La Capria

Francesco Palmieri

Consentito e proibito, mai del tutto dominato dalla cura né compromesso dall’incuria degli uomini. Domenica, grazie al cielo, il mare del capluogo campano è tornato balneabile

Coincidenze, chiamiamole così, però succede che il mare di Napoli – quello urbano della “cartolina” – sia tornato balneabile nella fausta domenica del 25 agosto, festa della compatrona santa Patrizia, che come buon auspicio ha sciolto il sangue nella chiesa di San Gregorio Armeno. Nello stesso giorno la squadra di Antonio Conte ha infranto la maledizione allo Stadio Maradona con una vittoria come non se n’erano più viste e Roberto De Simone, ultimo monumento della cultura partenopea, ha festeggiato la veneranda ricorrenza delle novantuno candeline. 


Balneabile sì, balneabile no: è dagli anni Settanta del secolo scorso, fin lì almeno risale la memoria, che “il mare esiguo e domestico” della città, come Giuseppe Marotta lo definiva, soggiace a una liturgia a sorti alterne. Consentito e proibito, mai del tutto dominato dalla cura né compromesso dall’incuria degli uomini. Stavolta i temporali di metà agosto avevano mandato in crisi il sistema fognario che ha riversato in mare un surplus di batteri. Il ritorno del sereno ha ricondotto nella norma i valori dell’Escherichia Coli rilevati dall’Arpac, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale, restituendo ai bagnanti le acque vietate dall’ordinanza sindacale. Sono i diari del cielo a dettare il calendario del mare da Pietrarsa a Posillipo, tanto per chi ne gode senza spendere al “Mappatella Beach” quanto per chi frequenta i lidi a pagamento.


Un topo d’emeroteca potrebbe compulsare un volumone d’annata e con pochi aggiustamenti circa date e nomi riproporre un pezzo attuale oggi e con ragionevole probabilità l’anno venturo. Un topo di biblioteca o cineteca potrebbe aggiungere che la letteratura e il cinema, anche quando guardano al versante asciutto della città, difficilmente riescono a ignorare il mare, persino per affermare che “non bagna Napoli” come titolò Anna Maria Ortese da giovane. Il rapporto tra umori del cielo e del mare fu declinato nel 1977 nel romanzo “Malacqua” di Nicola Pugliese, che da cronista minuzioso descrisse l’immancabile “divieto di balneazione” e se ne fece beffe con una soluzione magica (il mare si gonfia fino a lambire le case degli scugnizzi allontanati); ancora nel 2023, in “Uvaspina”, Monica Acito dedica pagine alle stesse spiagge e scogli impraticabili o praticabili, ricordando che “in quell’acqua si erano bagnati pure Totò e Eduardo e sembrava che il mare avesse conservato la forma di tutti i corpi che ci erano passati dentro: artisti, pezzenti, preti, puttane e lazzaroni, e marinai che avevano perso ’a capa per qualche figlia di armatore”.

  
Quasi mai il deposito equoreo dell’inconscio collettivo napoletano si sporge al di là del Golfo o della sagoma di Capri; il Mediterraneo che Predrag Matvejević comparò nel suo “Breviario” a “un immenso archivio e un profondo sepolcro” è mediamente circoscritto nelle acque dove ti puoi immergere attraversando via Partenope o che puoi solcare in barca sottocosta nello specchio liquido che riflette l’inquietante mole di Palazzo Donn’Anna da cui si tuffava Dudù La Capria. Se lui fosse vivo suggerirebbe un titolo interrogativo (che è davvero suo): “A chi la spedisco questa cartolina?”. Perché “ormai i giorni dell’acqua chiara, quei giorni, sono finiti. E non solo perché il mare a Napoli non è più quello di una volta ma anche perché io non sono più quello di una volta, e per me ci sono ormai soltanto i giorni dell’acqua torbida”. La percezione individuale si sovrappone ai dati oggettivi e la balneabilità può corrispondere anche a stati d’animo non misurabili dall’Arpac ma da opposti sentimenti.

 
Così, nella registrazione della liturgia, la cronaca deve annotarne anche l’usuale violazione: la settimana scorsa, malgrado il divieto, molti hanno continuato a bagnarsi nella “cartolina” come hanno fatto genitori e nonni, secondo il rito stagionale di chi allora non poteva allungarsi oltre le sponde domestiche e oggi è reduce magari da una vacanza esotica ma ama tornare al proprio mare. Al prossimo acquazzone si vedrà.

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