Letteratura
Diane di fronte a chi ha ucciso suo figlio, o il lancinante volto del perdono
Al Festival della mente c’è anche Colum McCann con “Una madre”: il racconto intimo di una tragedia violenta, mossa dall'empatia che lega l'autore e la vittima
La gratitudine è un sentimento che comporta un lungo avanzamento spirituale. Non è sinonimo di “accontentarsi” né tanto meno di “atarassia”, ma è la consapevolezza di un dono ricevuto nella sua gratuità. La possibilità della gratitudine, insomma, implica la dignità della persona a cui il dono è stato destinato: non è un caso che la parola greca deputata a designarla sia cháris, la quale indica un preciso stato esistenziale: la gioia. Il Festival della Mente – diretto da Benedetta Marietti e promosso dalla Fondazione Carispezia e dal Comune di Sarzana –, giunto alla sua ventunesima edizione, declina il tema della gratitudine in diversi appuntamenti spalmati tra oggi e domenica. Assieme alla lectio inaugurale dell’epistemologa Luigina Mortari, ai dialoghi con il premio Pulitzer vietnamita Viet Thanh Nguyen e la giornalista sudanese Zeinab Badawi, spicca l’incontro con lo scrittore irlandese naturalizzato americano Colum McCann, previsto per domenica alle ore 12 in piazza Matteotti e introdotto da Alessandro Zaccuri. Se romanzi come “Apeirogon” e “Questo bacio vada al mondo intero" indagano il potere dell’ascolto, in “Una madre” (traduzione di Marinella Magrì, 240 pp., 18 euro), uscito da pochi giorni per Feltrinelli e scritto con Diane Foley, protagonista è la lancinante dimensione del perdono.
Nell’ottobre 2021 Diane, “allegra [...] nei momenti più difficili”, è nel tribunale di Washington D.C. faccia a faccia con Alexanda Kotey, condannato all’ergastolo: è uno degli uccisori di suo figlio James W. Foley, giornalista del Global Post rapito dall’Isis nel 2012 e decapitato due anni più tardi in un video diffuso sul web. Colum McCann – presente anche in due appuntamenti al Festivaletteratura di Mantova – mette a frutto le sue capacità scrittorie per ritrarre i colloqui tra i due, dal sapore nitidamente dostoevskiano. Lei: “Aperta al mondo. Compassione, Signore. Misericordia. E pazienza”. Lui: “Poco meno di quarant’anni, spalle larghe, capelli rasati. Una barba ispida di media lunghezza”. Due mondi, due Weltanschauungen diverse, se non opposte. In uno stile franto, incalzante, punteggiato di frasi nominali, McCann apre una finestra sul dolore personale che, messo in controluce, lascia intravedere i contorni di una narrazione globale.
“Sento di esser stato ‘scelto’ da questa vicenda – rivela McCann al Foglio –. Ero a metà di un altro romanzo quando ho incontrato Diane Foley. La sua storia era impossibile da ignorare. Ho sentito un’affinità con suo figlio, ma ho anche pensato che l’amicizia con lei scaturisse da una serie incredibile di coincidenze: James aveva letto i miei libri; non ero riuscito a contattare Diane ma poi ci siamo ritrovati su Zoom. Infine, sono andato a conoscerla e ho capito che il suo caso doveva essere raccontato. Diane avrebbe trascorso un po’ di tempo con l’assassino di suo figlio. Mi ha chiesto di andare con lei per aiutarla a fargli domande. Non potevo rifiutare. È stata un’opportunità incredibile, una storia quasi mitica”.
Il prosieguo di “Una madre“ è un ampio flashback: nei mesi che precedono la fine, quando era ancora viva la chance del rilascio di James; e ancora più addietro, risalendo al tempo in cui il piccolo Jim matura il suo interesse per la verità, il giornalismo, i viaggi. Scrive McCann: “Mi piace pensare che alcuni semi della sua fede siano stati piantati in lui durante l’infanzia, ma non ho il minimo dubbio che il suo senso di giustizia sociale sia poi maturato alla Marquette [University]: il suo fascino per il luogo da dove gli altri venivano, per ciò che li aveva condotti lì, per dove erano diretti e per come avrebbero potuto raggiungere un luogo migliore. Amava citare Seamus Heaney: ‘La storia dice, Non sperare / su questo lato della tomba. / Ma poi, una volta nella vita / la sospirata onda di marea / della giustizia può levarsi: / speranza e storia possono rimare’” (sono i versi clou della versione heaniana del Filottete di Sofocle).
Speranza che per Diane ha i nomi della misericordia di Dio e della protezione di Maria (“una catenina girocollo d’oro dell’Ecuador con una medaglietta della Beata Vergine Maria da poggiare sulla gola”). “Diane ha un rapporto incredibilmente forte con la sua fede – prosegue McCann –, l’accompagna in ogni momento della giornata. La preghiera è importantissima per lei. E sente che lo Spirito Santo l’ha guidata in questo viaggio. Non sono sicuro che sarebbe riuscita a sopravvivere negli ultimi dieci anni senza la sua profonda fede cattolica. Quanto a me, anch’io ho fede, ma la mia è più radicata nell’arte della narrazione. Credo che noi tutti siamo uniti dalle storie”.