Territori e culture
Il medio occidente? È l'Adriatico, ma l'aveva già capito Sergio Anselmi
Dalla penna dello storico marchigiano, di cui si celebra il centenario, arrivano storie e volti di un territorio che si affaccia sul quel mare riconosciuto come vero confine fra Europa e Asia: un crocevia di culture attirate dal commercio, raccontata con piglio manzoniano
La guerra in Ucraina, dove passano gli impianti energetici russi, e i bombardamenti degli houthi nel canale di Suez (nato per condurre le navi a Trieste), hanno ridato importanza all’Adriatico, vero confine sensibile tra Europa e Asia come rilevato dallo studio recentissimo di Robert D. Kaplan. Un pioniere di studi sul tema è stato Sergio Anselmi, storico marchigiano di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, scomparso nel 2003 sulla dolce collina di Scapezzano nella casa-biblioteca che si era costruito appena fuori città. Tutta la sua vita intellettuale si è svolta su un confine geografico ed esistenziale: Marka, primo nome tedesco della regione significava di confine, ma l’intero Adriatico è una storica frontiera fra occidente e oriente come non si stancò mai di ripetere, per secoli infestata da pirati di diversa specie. Se Giuseppe Lupo ha proposto sul Sole 24 Ore la necessità di un medio occidente, la risposta si trova già nei libri di Anselmi. Senigallia è nata al limite tra i Galli Senoni e i Piceni, ultimo avamposto dei dialetti italiani settentrionali a base gallo-celtica prima di quelli centrali a base latina, ed è stata soprattutto il punto d’incontro fra cultura contadina e cultura marinara, le materie preferite di Anselmi.
L’infanzia trascorsa fra le due parti della sua città, il centro e il quartiere del porto, dove diverse erano le antropologie e perfino l’accento, si era svolta attorno alla tabaccheria del nonno materno Antenore, marinaio ritiratosi presto dal suo trabaccolo spinto dal borino (vento freddo che soffia tra Rimini e Ancona), mentre gli altri nonni erano spedizionieri e mercanti anconetani. Del resto la Fiera Franca di Senigallia, regolamentata sotto la dominazione dei Malatesta alla fine del ’400, aveva favorito lo scambio fra tessuti europei e spezie levantine, per tre secoli aveva così attirato ogni tipo di commercio e di minoranza, schiavoni, morlacchi, ungheresi, ragusei, albanesi, greci, armeni, ebrei: non a caso Senigallia o Sinigaglia è un diffuso cognome ebraico italiano e persino il mercato delle pulci milanese nell’800 venne chiamato col suo nome, segno che la città era sinonimo di mercato.
Nasce da qui il detto locale: Senigaglia, mezzo ebreo mezzo canaglia. Alfred de Musset ha descritto l’atmosfera che si respirava durante gli anni d’oro: “Turchi in fez passeggiavano lungo la riva del fiume, musicanti e girovaghi facevano serenate alle ragazze… le cucine esalavano in pieno i loro odori di fritture, pesci e formaggi… i cantastorie, gli zingari, i ciarlatani raccontavano gesta leggendarie suonando organetti… gli alberghi erano pieni”. Anselmi fu profondamente influenzato dunque dalla natura commerciale e multietnica adriatica anche se dall’Unità d’Italia in poi la fiera iniziò a scemare. Renitente alla leva della Rsi, aderì al Partito socialista e collaborò col comando di occupazione inglese che si era installato a villa Morpurgo, abbandonata dai proprietari ingegneri e architetti emigrati in Brasile per le leggi razziali. La bibliografia di Anselmi è divisa in due come la sua città: da un lato quella terragna, sfociata nel poderoso volume Marche (1987) nella Storia d’Italia e nei tanti studi sull’agricoltura alla base del Museo della mezzadria che oggi porta il suo nome. Il suo concittadino e coetaneo Mario Giacomelli ne ha ritrovato le tracce nel paesaggio agrario fotografandolo in un modo astratto che ad Anselmi piaceva molto perché “le campagne italiane non sono state create dal feudo ma dalle città”. L’altra parte della sua bibliografia è costituita da studi adriatici, più difficili perché il mare a differenza della terra non lascia tracce durature o evidenti.
Perciò in tarda età Anselmi ha tratto dai suoi studi alcuni bellissimi quanto impietosi racconti basati su fatti verificati e però restituiti con una freschezza narrativa rara per uno storico accademico, prima nell’Università di Urbino, poi in quella di Ancona e infine a San Marino. Storie di Adriatico (1996), Ultime storie di Adriatico (1997) e Mercanti, corsari disperati e streghe (2000), tutti pubblicati dal Mulino, rovesciano in una perfida prosa un lungo lavoro di ricerca documentaria con piglio manzoniano, interessato cioè non alle grandi personalità bensì ai disgraziati, sbattuti da una all’altra sponda del mare superum,
“Questo è il grande teatro: la gente, come si diceva una volta, entra nelle vicende maggiori, e le subisce”. Per questo Egidio Ivetic, autore di Storia dell’Adriatico (il Mulino 2019) nato a Pola e oggi professore a Padova, ha eletto Anselmi a suo maestro. Del resto, per fare solo un esempio, anche un altro indagatore della sfuggente cultura adriatica come lo storico dell’arte Pietro Zampetti, per tutta la vita ha studiato i maggiori pittori marchigiani del Rinascimento, Carlo Crivelli e Lorenzo Lotto, che erano arrivati via mare: due profughi veneziani scappati in Dalmazia per motivi e in periodi diversi e poi rifugiati rispettivamente ad Ascoli Piceno e Loreto, mettendo radici cioè facendo scuola. Dopotutto, Lussino dista appena 120 chilometri da Ancona, Anselmi sognava spesso le isole dalmate e le Alpi dinariche viste da bambino nei viaggi col nonno. Molte altre esistenze adriatiche oggi rimosse si sono srotolate lungo il golfo di Venezia come quella di Alfredo Panzini, nato a Senigallia, cresciuto a Rimini, diplomato al Foscarini veneziano e vissuto quasi sempre a Bellaria – in Viaggio con la giovane ebrea (1935) descriveva appunto l’incontro e il dialogo con un’ebrea dalmata dal punto di vista di un’affinità transfrontaliera che poi l’esodo giuliano-dalmata e la Guerra fredda hanno cancellato del tutto.
Il grande merito di Anselmi però è stato soprattutto quello di scansare ogni folklore, viceversa quello di saper leggere nel suo campo di studio e nel suo territorio i segni dei cambiamenti geopolitici delle “economie mondo” e perciò nel primo numero della rivista Quaderni storici del 1966 invitò Fernand Braudel, di cui divenne amico e collaboratore anche della rivista Proposte e ricerche, tuttora attiva: “L’Adriatico è forse la regione marittima più coerente. Da solo e per analogia, pone tutti i problemi impliciti nello studio dell’intero Mediterraneo”, scrisse il maestro delle Annales e degli studi sulla nascita del capitalismo mercantile. Perché niente come il commercio rende liberi permettendo l’emancipazione sociale delle minoranze, e perciò gli stati nazionali o i pirati cercano di ostacolare o sabotare in ogni modo.