Blu Submarine

Storia di Eugen von Ransonnet-Villez, il Jules Verne della pittura

Fu un pioniere dell’arte subacquea e dell’illustrazione scientifica. La sua ambizione non è solo artistica, ma di documentazione. La sua idea è di esporre in istituti di ricerca e musei naturali

I raggi del sole battevano la superficie delle acque obliquamente e, al contatto della loro luce scomposta dalla rifrazione, come attraverso un prisma, fiori, rocce, pianticelle, conchiglie e polipi si tingevano negli orli con i sette colori dello spettro solare. Era una meraviglia, una festa degli occhi quel viluppo di toni colorati, un vero caleidoscopio di verde, di giallo, di aranciato, di violetto, d’indaco, d’azzurro, tutta la tavolozza di un colorista rabbioso!”

  

Nel 1867, due enormi acquari vengono messi in mostra nei giardini dell’Esposizione universale di Parigi. Verne è tra gli spettatori

 
Nel 1867, due enormi acquari vengono messi in mostra nei giardini dell’Esposizione universale di Parigi. La parte tecnica è realizzata dall’inventore Bétencourt, mentre a popolarli di creature marine è stato un noto naturalista ed esperto di conchiglie, Gassies. Tra gli spettatori che assistono a bocca aperta a quello spettacolo mai visto prima c’è lo scrittore Jules Verne, che pochi anni dopo ambienta nel mondo subacqueo uno dei suoi romanzi più celebri, Ventimila leghe sotto i mari (1869/1870). I primi acquari erano già stati inaugurati da qualche anno, ma a Parigi per la prima volta si offriva l’esperienza del mondo marino, dando ai visitatori l’impressione di essere sul fondo dell’oceano, proprio come accadrà ai personaggi di Verne. Sono anni di grandi innovazioni e fermento per l’esplorazione marina. Nella stessa esposizione vince una medaglia d’oro una pionieristica tuta da immersione brevettata da Rouquayrol e Denayrouze, in cui l’aria viene pompata dalla superficie in un serbatoio, per poi passare attraverso il regolatore di pressione integrato nel casco. Anch’essa colpisce l’attenzione di Verne, che la fa citare esplicitamente nel suo romanzo da parte del Capitano Nemo. “Adoperando l’apparecchio Rouquayrol-Denayrouze, immaginato da due vostri compatrioti, ma che io ho perfezionato per mio uso […] potrete avventurarvi nelle nuove condizioni fisiologiche, senza che i vostri organi ne soffrano in alcuna maniera; si compone d’un serbatoio di grossa lamiera, di ferro, nel quale io raccolgo l’aria con una pressione di cinquanta atmosfere. Codesto serbatoio si fissa sul dorso per mezzo di cinghie, a foggia di un sacco da soldato, e sulla parte superiore forma una scatola da cui l’aria, mantenuta da un meccanismo a mantice, non può uscire che con la tensione normale”.

    

Von Ransonnet-Villez, da giovane nel corpo diplomatico dell’Impero austriaco, ha occasione di viaggiare. Così vede la barriera corallina

   
E’ in questo contesto che entra in scena una figura tanto misconosciuta quanto originale. Eugen von Ransonnet-Villez nasce il 7 giugno 1838 a Hietzing, vicino Vienna, in una famiglia aristocratica (il padre Karl è un importante magistrato, la madre Margarita proviene da un ramo nobiliare della Piccardia). Durante l’infanzia soggiorna spesso da una zia sulla costa vicino a Nizza. Da qui forse una delle sue due grandi e precoci passioni: il mare. L’altra è la pittura. A soli 12 anni è iscritto all’Accademia di Belle Arti, dove è il più giovane tra gli studenti. Ma un percorso unicamente artistico non si addice alle aspettative familiari e quindi il giovane Karl viene invitato a studiare giurisprudenza. Così nel 1858 entra nel corpo diplomatico dell’Impero austriaco. Potrebbe essere la fine delle sue ambizioni artistiche, ma non è così, anzi. La possibilità di viaggiare in paesi lontani gli offre infatti numerose opportunità di coltivare il suo interesse per la rappresentazione dei paesaggi marini. Nel 1862, nel corso di un viaggio in Palestina ed Egitto, nel villaggio costiero di Tor (oggi El Tor) realizza alcuni schizzi della barriera corallina del Mar Rosso da una barca. Al ritorno trasforma gli schizzi in litografie e li pubblica in un resoconto del viaggio, facendosi aiutare dagli scienziati del Naturhistorisches Museum di Vienna nell’identificazione delle specie marine.

 

 

Per la stampa ha la fortuna di incontrare lo stampatore e artista Anton Hartinger, che per quindici anni ha lavorato al monumentale Endlicher´s Paradisus Vindobonensis (1844-1860), un atlante illustrato di piante rare e ornamentali. Il risultato è eccellente ma Ransonnet non è ancora soddisfatto. Due anni dopo parte per Ceylon, l’attuale Sri Lanka, dove rimane per tre mesi. Capisce che non c’è che un modo per raggiungere quella fedele rappresentazione dei fondali a cui aspira: calarsi in acqua. Progetta quindi lui stesso un’originale “campana subacquea” in cui poter stare seduto a disegnare, alta circa un metro e larga 80 centimetri. Nei suoi appunti la descrive così: “Nella parte anteriore e sul soffitto ci sono finestre di vetro spesso e nell’apertura un sedile removibile in ferro […] oltre ai pesi di 600/700 libbre (330/390 kg) distribuiti agli angoli, pesi di 50 libbre (circa 28 kg) pendevano su corde robuste come ancore sul fondo. Accorciando o allungando queste corde, l’apparato, sostenuto dall’aria interna, poteva essere abbassato o alzato. Per muoversi orizzontalmente era necessario manovrare i pesi e muoversi in avanti. In questo modo, dirigere la campana in acque calme e di profondità moderata era sotto il mio controllo senza bisogno di una barca. In caso di emergenza potevo facilmente uscire e salvarmi a nuoto. La rigenerazione dell’acqua andava fatta con l’aiuto di un lungo tubo flessibile operato da una pompa d’aria piazzata a terra o sulla nave”. 

    

Capisce che c’è un modo solo per raggiungere una rappresentazione fedele: calarsi in acqua. Progetta una originale “campana subacquea”

   
Il 25 novembre 1864 Ransonnet salpa con un’imbarcazione europea e sei aiutanti indiani. La campana viene allestita davanti alla costa di Galle, a cinque metri di profondità, e Ransonnet si tuffa per infilarcisi sotto restandovi per ben tre ore. Una volta dentro, è colpito dalla bellezza colorata del mondo sottomarino. “Solo pochi metri davanti a me vidi un meraviglioso gruppo di coralli […] Sullo sfondo del paesaggio si estendeva una pianura sabbiosa, che scintillava limpido verde smeraldo attraverso l’acqua cristallina e brillante. A poco a poco i pesci – le farfalle del mare – che prima si tenevano lontani cominciarono a sciamare attorno a me, mostrando i loro incantevoli colori, quando il bagliore delle onde li percorreva lungo le loro scale fluorescenti”. Ransonnet usa una carta verniciata che gli permette di disegnare con una matita morbida anche se la carta è bagnata. Inserisce lo schizzo in una scatola di latta e lo trasporta fuori dalla campana. Poi aggiunge un secondo strato di vernice e infine utilizza una pittura a olio trasparente. Il suo resoconto di quell’esperienza inedita di dipingere immerso nel mare è intriso di stupore e di emozione. “Stesi la mano verso un corallo, ma non riuscii a toccarlo, come un bambino che cerca di afferrare oggetti fuori dalla sua portata, giacché nell’acqua tutto sembra così illusoriamente vicino, e al tempo stesso, più piccolo. Ti rendi conto rapidamente che nelle profondità dell’oceano non bisogna solo imparare a muoversi, ma anche a guardare e ascoltare”.

 

   
Dagli schizzi realizzati in quell’occasione Ransonnet ricava quattro litografie pubblicate in un volume, Sketches of the Inhabitants, Animal Life and Vegetation in the Lowlands and High Mountains of Ceylon: As Well as of the Submarine Scenery near the Coast Taken from a Diving Bell (“Schizzi degli abitanti, della vita animale e della vegetazione nelle pianure e alte montagne di Ceylon”, 1867), ma soprattutto un dipinto considerato “il primo autentico dipinto sottomarino a olio nella storia della scienza e dell’arte”, nonché il suo capolavoro. “Aggiungendo un teschio umano sul fondo del mare e creando una misteriosa atmosfera attraverso la luce e il colore”, ha scritto Stefanie Jovanovic-Kruspel, “il quadro visualizza la magia e la paura delle profondità del subconscio di fine Ottocento […] Questo dipinto è un vero monumento alla storia della scienza e dell’arte – e il primo realistico paesaggio sottomarino basato su schizzi fatti in una campana subacquea”. Al suo ritorno, Ransonnet lo dona al Naturhistorisches Museum di Vienna.  

 
Al termine della sua esperienza diplomatica in Asia, Ransonnet sposa Agathe Geymüller da cui ha cinque figli. Si fa costruire una villa in Austria, sulla riva del lago Attersee, dove trascorre buona parte dell’anno. Il resto del tempo lo passa in Istria, a Volosca, dove fa progettare la sua villa sul lungomare dal celebre architetto Carl Seidl. Qui continua a dare spazio alla sua grande passione per le profondità marine, ma decide di cambiare metodo. La sua innovativa campana ha funzionato egregiamente ma evidentemente il sistema non è sostenibile nel lungo periodo. Per le sue missioni nell’Adriatico, infatti, Ransonnet preferisce avvalersi di una nuova e più semplice apparecchiatura, ancora una volta di sua invenzione, il cosiddetto “periscopio inverso”, un dispositivo telescopico corredato di lenti e specchi. Con questo strumento si dedica alla rappresentazione sottomarina del Mar Adriatico, soprattutto in Dalmazia e in particolare in una piccola grotta dell’isola di Busi (oggi Biševo). Le esplorazioni di Ransonnet, che fa anche ampliare l’accesso alla grotta per le barche, aprono la via all’interesse per la luce azzurra della grotta, oggi nota meta turistica. Per i suoi dipinti, Ransonnet lavora con un metodo originale. Prima fa uno schizzo a olio utilizzando il periscopio inverso, per catturare un’impressione generale del panorama sottomarino. Poi si mette a osservare le specie animali e vegetali che ha raccolto in un vaso di cristallo pieno di acqua marina per “creare immagini sottomarine che catturavano sia i toni di colori che la fauna e la flora marina in modo scientificamente esatto”. La sua ambizione infatti non è solo artistica, ma di documentazione scientifica e la sua idea è che i dipinti siano esposti in istituti di ricerca e musei naturali, più che in gallerie d’arte. E in effetti le opere realizzate in Dalmazia, presentate per la prima volta nel 1913 in una grande esposizione dedicata all’Adriatico, attraggono l’attenzione del direttore dell’Istituto Geografico e di Biologia Marina di Berlino. Ma le trattative per l’acquisto sono interrotte dallo scoppio della Prima guerra mondiale. Dopo la guerra Ransonnet offre i dipinti a un suo grande estimatore, il principe Alberto I di Monaco. Il principe si è dedicato fin dalla giovinezza allo studio del mare, facendo anche importanti scoperte oceanografiche e fondando il Museo oceanografico di Monaco. Nel 1921 diciassette opere di Ransonnet vengono acquisite dal Museo, cinque anni prima della morte dell’autore nella villa di Untersee, all’età di 88 anni. Nel frattempo gli sviluppi tecnologici hanno permesso di utilizzare la fotografia per documentare la vita sotto il mare (la prima foto subacquea è spesso attribuita al biologo Louis Butan, attorno al 1899) e l’opera di Ransonnet viene rapidamente obliterata, forse anche penalizzata dal suo trovarsi a cavallo tra arte e scienza. Salvo poi essere riscoperta dagli stessi protagonisti della fotografia sottomarina, come Hans Haas (“il titano della fotografia e del cinema sottomarino del Novecento”), che rimane “affascinato dal realismo dell’illuminazione, dalla regolazione dei colori e dalla precisione degli animali e dei coralli mostrati”, e dai numerosi studiosi che negli ultimi anni sono perfino riusciti a replicare le sue immersioni con la campana. Spesso utilizzata per illustrare articoli e opere letterarie di ambientazione marina, l’opera di Ransonnet, con le sue ingegnose invenzioni per dipingere sott’acqua, resta un caso pionieristico e per molti versi unico di pittura en plein mer, emblema di un mondo oggi scomparso in cui si fondevano arte, conoscenza e natura.

  
“Il mare è tutto! Copre i sette decimi del globo e il suo respiro è puro e salutare. E’ un deserto immenso in cui l’uomo mai è solo perché, accanto, tutto un mondo brulica. Il mare è veicolo d’una vita prodigiosa: è amore e moto, è, come un vostro poeta ha detto, l’infinito vivente. E infatti, professore, la natura vi si manifesta nei suoi tre regni, minerale, vegetale, animale. [...] Il mare è il gran serbatoio della natura. La vita sulla terra è iniziata, si può dire, dal mare e finirà forse con esso. Qui regna pace infinita: il mare non è dei despoti. Alla superficie essi possono abusare ancora di diritti iniqui, combattersi, sbranarsi, portarvi gli orrori terrestri. Ma a pochi metri sott’acqua il loro potere cessa, la loro influenza non conta più, la loro forza s’annulla. Ah, vivete, vivete nel mare! Solo là si è indipendenti! Solo là non ho padroni! Solo là mi sento libero!” (Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari).