Assassination of Nizam al-Mulk. Foto di pubblico dominio  

“Nulla è vero, tutto è permesso”: apologia del Caos per un'epoca di caos

Andrea Venanzoni

La massima degli Assassini ha ispirato filosofi e artisti, da Nietzsche a Burroughs. Simbolo di ribellione contro l'ordine stabilito, è ancora al centro di movimenti culturali e filosofici contemporanei

Alamut, patria degli Assassini

Tra le inospitali gole del settentrione dell'Iran, sorgeva in epoca medievale la misteriosa fortezza di Alamut, trasformata dal religioso ismailita Hasan-i-Sabbah in un centro iniziatico di predicazione dell'Ordine degli Ḥashīshiyyīn.

Alla fortezza sarà dedicato un oscuro romanzo dello scrittore triestino-sloveno Vladimir Bartol, apparso per la prima volta nel 1938, mentre sulla figura di Hasan e sull’Ordine saranno diversi i saggi e i riferimenti; in italiano ‘Il vecchio della montagna’ di Betty Bouthoul e ‘L’ordine degli assassini’ di Marshall G.S. Hodgson, entrambi per Adelphi, senza contare poi la cultura pop col videogioco ‘Assassin’s Creed’ e la musica con l’omonima canzone degli Hawkwind, a lasciar intendere l’interesse suscitato da questa remota ma attualissima congrega.

Frettolosamente liquidato come un gruppo di islamisti radicali, gli Assassini vennero citati anche in termini parzialmente agiografici da Marco Polo, tanto che fu lui a ritenere che il loro nome derivasse dall'assunzione dell'hashish, mentre Dante in maniera meno ecumenica spedì il ‘Veglio della Montagna’ direttamente all’inferno.

La congrega era in realtà un ordine esoterico interno a un ramo del tutto peculiare dell'islam, strutturato in maniera rigidamente gerarchica come una Loggia e in cui si doveva obbedienza totale ai precetti fondanti dell'Ordine e al suo capo.

Anche conosciuti come Nizariti, per via della loro precisa scelta di campo a favore del Principe Nizar durante la sanguinosa lotta per la ascesa dinastica al trono Fatimide, gli Assassini si dedicavano tanto alla predicazione dei propri precetti quanto alla eliminazione fisica dei loro nemici; il ramo operativo del gruppo prese il nome di ‘fedayn’ che avrebbe secoli dopo caratterizzato l’islamismo militante, anche se ne fu citazione spuria visto che ai Nizariti ripugnavano l’assassinio di civili inermi e gli attacchi portati contro la popolazione.

 

“Nulla è vero, tutto è permesso”: dagli Assassini a Nietzsche e Burroughs

Il nucleo essenziale della dottrina nizarita consisteva della celebre massima 'nulla è vero - tutto è permesso', ripresa secoli dopo da F. W. Nietzsche, in ‘Così parlò Zarathustra’.

“Nulla è vero, tutto è permesso… Orbene, questa era libertà dello spirito, in tal modo veniva congedata la fede nella stessa verità…Ha mai uno spirito libero europeo, cristiano, saputo smarrirsi in questa proposizione e nelle sue labirintiche conseguenze?”, scriverà il filosofo di Röcken.

In seguito sarà W. S. Burroughs in ‘Nova Express’ e in generale nella trilogia di ‘Nova’ a riprendere il nome di Hasan-i-Sabbah, o la sua forma sublimata tra le pagine, come caratterizzazione simbolica di manifestazione di quel motto; lo leggerà rovesciato rispetto uno sbilenco relativismo ed erigendolo a radicalizzazione critica del Rasoio di Occam, secondo una linea tendenziale emersa chiaramente ne ‘Il pasto nudo’.

Un disallineamento anti-epistemologico e del pari anti-ontologico che nelle labirintiche conseguenze evocate da Nietzsche forgia un ordine interiore che deve bastare a se stesso.

Il superamento della funzione della parola, il Logos epitome dello smantellamento dell’ordine stabilito, parte da questa sapienza. Sarà poi ripreso da Nietzsche e cesellato decenni dopo da Deleuze nella sua messa a punto su Foucault.

Lo troveremo enunciato in maniera praticamente identica alla interpretazione deleuziana in “Città della notte rossa”, di Burroughs, come canto di un ordine centrato, individuale, auto-responsabilizzante, e non di una anarchia fine a se stessa.

D’altronde già Esiodo aveva delineato la scaturigine primordiale di ogni cosa attraverso la ragnatela del Chaos, vuoto di sostanza ma anche vuoto logico, in cui ogni cosa trova suo principio e sua fine. Analogamente da quanto si desume dai poemi ancestrali orientali, come il babilonese Enuma elish e nelle dottrine buddhiste e induiste sul vuoto, come il Sūnyatā.

Autentico tassello-guida di un’epoca di caos assoluto, in cui la cultura e la scienza vengono sottoposte ad autopsia sotto condizione di decostruzionismo, di lotta sul e nel linguaggio, come ogni parola fosse una Stalingrado, le relazioni internazionali si rendono una geometrica anarchia nel cui ventre il multipolarismo terzomondiale reclamato a gran voce da tiranni di ogni latitudine cela il volto ombroso del totalitarismo, quella formula indica l’esatto contrario di quanto sostengono gli alfieri dell’arbitrio e del dispotismo.

 

Caos e confusione: Dugin, il mondo multipolare e la magia del Caos

Tra gli aedi del dispotismo troviamo il confusionario Aleksandr Dugin, superficialmente abbeveratosi alla dottrina del caos.

Sulla copertina del suo ‘Foundations of Geopolitics’ e come simbolo del proprio ormai dimenticato partitino nazional-bolscevico-eurasiatico troviamo il “Banner of Chaos”: simbolo formato da una stella che irradia otto punte, utilizzata decenni prima dai praticanti della Chaos Magick, dall’anarchia ontologica di Hakim Bey e ideata dal celebre scrittore inglese di dark fantasy Michael Moorcock, padre della saga dell’albino guerriero e caotico conquistatore Elric di Melniboné.

Se per Dugin, quella simbologia dovrebbe indicare la famigerata multipolarità del nuovo ordine mondiale e la costruzione di una stabilità derivante da una previa stagione di caos, che si immagina nutrita dagli interventi russi in Africa e Medio Oriente oltre che da disinformazione massiva e invasione in Ucraina, la realtà dei fatti di quel simbolo è del tutto diversa. E d’altronde, Dugin lo sa bene, giocare coi simboli è sempre giocare con il fuoco.

La Chaos Magick riprese quel motto nizarita a partire dagli anni Settanta, nel cuore del revival esoterico britannico; questa particolarissima corrente esoterica venne forgiata da esoteristi come Peter J. Carroll, Lionell Snell, Ray Sherwin e Phil Hine, i quali in gran parte avevano tutti formazione scientifica e accademica sul versante matematico e biologico.

Mescolarono dottrine dello stregone-pittore Austin Osman Spare, teoria matematica del caos che proprio in quegli anni veniva definita e neosciamanesimo.

Particolare di non poco conto; William S. Burroughs venne iniziato nel gruppo transnazionale di ‘maghi del Caos’, ‘The Illuminates of Thanateros’ (IoT) fondato anni prima proprio da Carroll.

Sotto il nome di Frater Dhalfar, Burroughs produsse un certo corpus di scritti esoterici tra cui un memorabile saggio di connessione tra tarocchi, arte fotografica e magia, apparso nel 1994 sul Kaos Magick Journal.

I suoi stessi metodi del cut-up e del playback e gli studi, assieme a Brion Gysin, sui sogni lucidi saranno figli e al tempo stesso anticipatori di questa dimensione esoterica, rievocando la natura della paranoia-critica di Dalì, lo scatenamento degli stati alterati e incidendo a fondo nella cultura pop e artistica contemporanea, da David Bowie a John Zorn.

Furono peraltro membri di IoT anche autori celebri della psichedelia letteraria, come Robert Anton Wilson e Timothy Leary.

 

Magia del caos per scettici

Proprio in questi giorni arriva in libreria per i tipi di Venexia, ‘Magia del Caos per scettici’ di Carlos Atanes, drammaturgo e regista spagnolo le cui opere riflettono non banali interessi underground ed esoterici, un testo che sintetizza il fulcro di questa dottrina a beneficio appunto degli scettici e dei profani.

Il testo delinea quanto, in certa misura, essa materializzi il precetto epistemologico, in apparenza anti-epistemologico, di Paul Feyerabend secondo il quale ‘senza caos non c’è conoscenza’.

L’edizione italiana è impreziosita da ulteriori consigli di lettura, sotto forma di note del traduttore, Cristiano Curti, rispetto quelli contenuti nell’edizione originaria e soprattutto contiene due saggi storico-concettuali di Flavia Buzzetta e di Piervittorio Formichetti, non rubricabili per estensione e articolata completezza a mere postfazioni, che ripercorrono la storia, le vicissitudini e i protagonisti di questa peculiarissima corrente culturale.

Sfrondato del suo aspetto occultistico, nei fatti il post-modernismo magico del caos fa giustizia di sollazzatori del decostruzionismo e del relativismo post-strutturalista, alla Judith Butler o alla Bell Hooks per capirci, teorizzando un relativismo talmente abissale e quasi lovecraftiano da esigere, come già notava Nietzsche, una centratura metodologica assoluta.

Questi movimenti decostruzionisti contemporanei ambirebbero a spiegare la necessità di rifondazione di un sistema valoriale sulle ceneri e sulla carcassa morente del nostro mondo, non diversamente da quanto vorrebbero fare Dugin e soci putiniani, non tenendo però a mente, come notava Bataille in ‘Dioniso filosofo’, che ‘l’apogeo di una civiltà è una crisi’ e che la coagulazione di qualunque movimento di civiltà produce inevitabilmente la catastrofe.

 

La civiltà della catastrofe

Più gli uomini si civilizzano più essi sono portati alla brutalità, più si danno ragioni e sistemi per governarsi più sprofondano nel caos, più predicano la pace più praticano la guerra, più si danno nuovi insiemi assiologici, come ambirebbero fare i profeti del neo-post-strutturalismo e i loro alleati, solo in apparenza antagonisti, dell’ordine multipolare, più finiscono strangolati da regole, tabù e burocrazie ontologiche.

L’unica realtà è al contrario negare l’epidermide della realtà, accettare un ordine basato sul caos che nutre se stesso dalla notte dei tempi e che è progredito nel disastro e nella realizzazione di principi di responsabilità individuale.

Come spiegare d’altronde lo tsunami psichico che vede fieri sostenitori delle ragioni dell’Ucraina, centrati in una dimensione epistemologica di pura razionalità neokantiana basata su analisi dei dati, dei comportamenti, dei numeri, diventare poi militanti ad honorem di Hamas quando si parla di Israele, preda di una ebbrezza colma di bias e pregiudizi e in apnea dalla ragione?

Il caos intessuto di micro-variazioni determinate da narcisismo digitale, mania di protagonismo, pregiudizi ontologici, schegge pop, trasforma gli alfieri della razionalità in scatenati sciamani terzomondisti.

O come dimenticare i soldati russi intenti in Ucraina a portarsi dietro le iurte degli sciamani siberiani mentre i maghi del caos hanno indetto una crociata pro-Ucraina e contro Putin e Dugin, di cui si trova traccia sul sito web di Peter J. Carroll, similmente a quanto in piena Battaglia d’Inghilterra fecero gli esoteristi britannici raccolti attorno Dion Fortune contro Hitler.

Si assiste, in altri termini, a uno scivolamento furtivo e inesorabile in una coltre di metodica irrazionalità, colma e densa di suggestioni pop.

Dal Limonov ormai personaggio flamboyant ben noto e quasi overground in Occidente, tra film e libri editi da Adelphi e che con Dugin fece un pezzo di strada assieme, pur rimanendo un feroce critico di Putin e al tempo stesso di certo ‘liberalismo’ euro-americano, come ricordano gli scritti limonoviani curati da Andrea Lombardi nel volume ‘Grande ospizio occidentale’, edito da Bietti, a figure celebri del fumetto, come Alan Moore e Grant Morrison, che alla magia del caos hanno dedicato non banali riflessioni, fino al rendersene praticanti.

Viviamo un’epoca in cui il mondo tutto è talmente impazzito e così meravigliosamente irrazionale, e sarebbe certo piaciuto allo gnosticismo nichilista di Albert Caraco che pure ideò un ‘Breviario del caos’, da conciliare lo sposalizio con il Caos, quello maiuscolo.

Unico strumento per attraversare e capire l’incomprensibile.