La fiera d'arte contemporanea di Sydney - foto Ansa

L'analisi

C'era una volta l'arte, oggi c'è il mercato dell'arte (o meglio, c'era)

Francesco Bonami

Fino alla prima decade del Ventunesimo secolo il mondo dell'arte si basava sul valore culturale delle opere. Ma negli ultimi decenni il mercato è diventato dominato dalla speculazione: troppa pittura e troppo banale, calano prezzi e consumi

Il mondo dell'arte, diciamo fino alla prima decade del Ventunesimo secolo, funzionava più o meno così; gli artisti creavano l'arte, i galleristi la mostravano, a volte i collezionisti la compravano. I musei facevano le mostre degli artisti a prescindere se fossero comprati o meno dai collezionisti. Negli anni 70 i musei erano quelli che facevano le mostre agli artisti prima che venissero comprati o almeno prima che diventassero troppo famosi. A un certo punto poi, non saprei dire bene né come né quando, il mercato ha iniziato a prendere sempre più velocità fino ad arrivare a un punto dove un artista è bravo o brava se vende le proprie opere, altrimenti è uno sfigato, o quello che un tempo si definiva underground. Si è creato così un circolo vizioso dove i collezionisti si sono trasformati in speculatori, gente che compra un'opera solo se pensa di poterla rivendere, presto, sempre più presto, con un profitto, a volte enorme e inspiegabile.
 

Se apriamo il catalogo di una recente vendita d'arte contemporanea in una qualsiasi casa d'aste, troveremo nomi di artisti praticamente sconosciuti ma con prezzi sorprendenti. Ancora più sorprendenti sono poi i risultati delle vendite, con gli stessi sconosciuti acquistati a prezzi tre, quattro o cinque volte superiori al valore della stima. Questo fenomeno ha provocato sia un'inflazione dei prezzi sia un'inflazione di artisti e di opere, principalmente pittori e pittrici. Sembra di essere alla metà dell'Ottocento, con orde di gente che dipingeva di tutto e di più, con una qualità a dir poco mediocre e stili appiattiti principalmente sulla figurazione quotidiana. Ora fino a un paio d'anni fa questa situazione sembrava non avere fine, con galleristi e artisti e a volte collezionisti capaci di arricchirsi in modo spropositato. Ma gli eccessi, particolarmente nel  mondo moralista della cultura con ancora il mito di Modigliani tubercolotico, povero, con i geloni ai piedi o Van Gogh che si tagliava l'orecchio perché aveva fame, dopo un po' vengono a noia. Vengono a noia in particolare a quelli che gli eccessi li hanno generati per primi, ovvero i ricchi. Essendo poi l'arte un bene più che superfluo, non da vedere ma da avere, dall'eccesso si passa al decesso. Così oggi quasi all'improvviso il mercato dell'arte si è come fermato, i prezzi  di molti giovani e non giovani artisti dalle stelle sono tornati alle stalle. Anche i profitti delle case d'aste sono crollati. L'arte è tornata a essere un'esperienza più che un investimento. Avendo a disposizione immagini di tutti i generi in quantità eccessive forse la retina del consumatore si è affaticata, e vista l'opera d'arte una o due volte, sul telefonino, basta e avanza.
 

L'idea del possesso – esclusi casi di ricchezza assoluta, collezionismo bulimico e capolavori assoluti – forse sta andando fuori moda. O almeno interessa meno l'idea del possesso e il desiderio esclusivo di una cosa. Perché, e lo dico contro i miei interessi di curatore e critico d'arte, l'esperienza di vedere  un poster o una bella immagine della Mona Lisa o quello di una Marilyn di Warhol non è molto diversa da quella  di trovarsi davanti all'originale, se non fosse che dopo l'esperienza dell'originale  si può mangiare la migliore bistecca con patate fritte a Parigi o la migliore quesadilla a New York, cosa non possibile guardando l'arte sull'iPpad o il poster incorniciato sulla parete della cucina. La grande arte ha sempre funzionato sulla scarsità e la rarità. Pochi grandi artisti, poche grandi opere d'arte, poche occasioni di vedere la grande arte. Come nello sport l'arte vive di eventi straordinari, le finali di Wimbledon o le finali delle Olimpiadi. Quando qualcosa, anche di molto caro diventa ordinario, va a finire che diventa oltre che superfluo secondario. Da qui la grande crisi del mercato dell'arte e dell'arte stessa, troppa e troppo uguale, troppa pittura e troppo banale. Non bastano le categorie geografiche o di genere a salvare l'eccesso di opere prodotte. Il troppo è troppo sia che venga da Londra che dal Vietnam, sia che il quadro l'abbia fatto un artista Lgbtq+ o un vecchio etero bianco di Berlino.
 

Un ultimo problema è quello che il mercato dell'arte si rifiuta di ragionare come tutti gli altri mercati. Quando il mercato immobiliare va male, le case costano di meno. Quando un brand di moda va male, il valore delle sue azioni scende. Nell'arte no, artisti e galleristi sono convinti che una cosa venduta a 100 ieri, anche se nessuno a quella cifra la vuole più, deve sempre costare 100. Ma negli anni 90 ricordo che alle aste nessuno voleva Warhol e li si riusciva a comprare a una frazione del loro valore originale. Infatti l'anello debole di tutto questo sistema sono proprio gli speculatori collezionisti che, meno idealisti di galleristi e artisti, stanno iniziando a vendere o meglio a svendere pensando forse che la tendenza a breve non migliorerà. Dopo una febbre durata quasi vent'anni che aveva fatto perdere il valore delle cose, oggi anche per il miliardario senza problemi di budget un milione di dollari è tornato a essere un milione di dollari, con il quale magari potrebbe pagare lo stipendio di dieci giovani professionisti che lavorano per lui. L'artista David Hammons anni fa fece una mostra dove sulle pareti del museo c'erano solo dei rettangoli di sporco lasciati dalla sagoma dei quadri. Per avere lo stesso effetto senza dover comprare un Hammons originale basta mettere all'asta il Picasso rimasto sulla parete del salotto per mezzo secolo che forse ci è venuto pure a noia. Lo spazio vuoto sopra il divano sarà quasi più spirituale e rilassante e i cento milioni in banca più rassicuranti. D'altronde, quando rubarono la Gioconda la gente fece la fila proprio per vedere il rettangolo di polvere  lasciato dal capolavoro. L'immaginazione forse è tornata ad avere più valore delle immagini.

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