Una immagine ripresa stamane dell' installazione dell'artista Maurizio Cattelan (Ansa) 

Musei e realtà

L'impatto di un'opera si misura sempre nella reazione che provoca

Francesco Stocchi

Dalla rana crocifissa di Kippenberger ai bambini appesi di Cattelan, fino alla porta esposta di Duchamp e adesso le lattine di Lavet gettate erroneamente nella spazzatura: è dai vari livelli di scontro e corto circuito con il pubblico che si certifica il vero successo dell'arte

Due lattine di birra esposte al museo Lam a Lisse, in Olanda, sono state rimosse e gettate nella spazzatura. Erano due lattine ma anche un’opera dell’artista francese Alexander Laver, dal titolo “All The Good Times We Spent Together”. Articoli di giornali, interviste al curatore e direttore che si sono fatti pubblicità intorno al gesto di “un tecnico”. Se un secolo fa, Duchamp attraverso il ready-made privò di funzione l’oggetto comune, esaltando le proprietà estetiche dell’oggetto divenuto arte e consegnandolo così al mito, qui un suo epigono, con fare accademico, lavora sull’ambiguità e la narrazione dell’opera, presentandola a terra (e non glorificata dal piedistallo come in Duchamp) come fossero i resti di una bevuta in compagnia




Una volta realizzata un’opera, un’artista la porta fuori dallo studio per farla incontrare con il mondo e la storia d’incontri tra le opere d’arte e esseri umani è ricca di incidenti, che siano questi di natura autoritaria, violenta o spassosa. Malgrado gli errori di condotta, sono storie che certificano l’impatto che l’arte ha nella società quando i confini si confondono. Certo, se l’artista non lavora direttamente sulla provocazione, l’opera acquisisce forza e integrità e non si riduce a essere soggetta alla reazione. E’ come per i libri: il giorno i cui non ci saranno più le terribili censure, o polemiche intorno al loro contenuto, significherà che i testi avranno perso ogni valore critico, destinati a non fare cultura lasciando posto cosi solo libri di cucina, di calciatori o guide turistiche.  L’impatto di un’opera si misura nella reazione che questa provoca, che sia immediata, o distillata nel tempo perché interiorizzata e non vittima di livori politici o passeggere intemperanze emotive. 


Si potrebbe dividere questa storia in tre categorie di incontri/scontri. Quando l’arte si fa notare dalle autorità che siano politiche o culturali, e lì opera, non la distruzione o danneggiamento ma la rimozione come nel caso della rana crocifissa di Martin Kippenberger esposta a Bolzano nel 2008 che offese Papa Ratzinger, oppure il rifiuto del “Nudo che scende una scala” (1912) di Marcel Duchamp perché troppo irrispettoso della forma del nudo. Poi c’è l’incontro dell’opera con lo spettatore comune e gli incidenti sono più di natura emotiva come i bambini fantocci di Cattelan appesi a un albero in piazza XXIV Maggio a Milano. Era il 2004 e l’intento dell’opera era quello di “scuotere dall’indifferenza gente ormai abituata agli orrori della cronaca”. Infine c’è l’incontro con chi lavora nell’istituzione, addetti, tecnici, personale delle pulizie che abitano i musei e gli incidenti provengono non da un giudizio ma proprio da quella cura data dall’esercizio delle loro funzioni. La porta esposta di Duchamp, ancora lui, ridipinta da imbianchini della Biennale di Venezia, o quella volta in cui l’opera “Dove andiamo a ballare questa sera?” di Goldie & Chiari fu spazzata via da un addetto delle pulizie, forse la più prossima a quest’ultimo episodio che certifica il successo dell’opera nel suo intento di creare un corto circuito tra arte e vita.