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L'arte di chiedere

Che fatica quando l'intervista culturale diventa un dialogo fra invasati

Alfonso Berardinelli

L’intervista è un genere che si distingue per umiltà, aderenza ai fatti e accessibilità comunicativa. Su "Una città", La Porta e Boitani, divorati da smania accademica e nominalistica, lo ignorano, così come ignorano le caratteristiche della rivista che li ospita e del suo pubblico

Ricordo che il mio amico Piergiorgio Bellocchio, che aveva una speciale passione per l’impresa editoriale del fare riviste (le preferiva ai libri) mi disse anni fa che ormai la sola rivista italiana leggibile e apprezzabile era Una città, il cui metodo consiste nell’intervistare, a proposito di ogni problema sociale e politico, le persone che davvero ne sanno di più, o per esperienza personale diretta o per studio, ma la cui firma non compare quasi mai sui più diffusi organi di stampa.

 
L’intervista è un genere giornalistico e letterario che si distingue per umiltà, aderenza ai fatti e accessibilità comunicativa. L’intervistatore deve essere animato da un vero spirito di indagine, nonché essere informato e preparato per fare le domande giuste e per fornire ai lettori un sapere che nei libri si presenta in forme più specialistiche e meno adatte al lettore comune. In un mondo culturale infestato da “esperti” e da professori, con le loro esibizioni bibliografiche, si sente il bisogno di discorsi che benché registrati in forma scritta siano il più possibile vicini al parlato, alla conversazione e al dialogo.


Ripeto queste ovvietà perché, come collaboratore e lettore di Una città, sono caduto dalle nuvole trovando nell’ultimo numero, quello 303 uscito a settembre, un’intervista che partendo dal Timeo di Platone si distingue per un’erudizione filosofica, letteraria e mistica del tutto fuori misura, direi sconfinata, nella quale intervistatore e intervistato nuotano come pesci, senza tenere minimamente conto delle caratteristiche di Una città (che sembrano non avere mai letto) e del suo pubblico. Niente a che fare, perciò, né come contenuto né come stile, con un “mensile di interviste”, come si autodefinisce la rivista di Forlì. Fra intervistatore (Filippo La Porta) e intervistato (Piero Boitani, professore emerito di Letteratura inglese e “Letterature comparate”) non si sa chi dei due faccia di più tutto il possibile per trascendere le possibilità di lettura e comprensione di chi abitualmente legge Una città. E’ evidente, oltre che un po’ offensivo, il fatto che l’intervista sia stata proposta ignorando gli interessi e il carattere comunicativo della pubblicazione che poi l’ha ospitata per eccesso di ospitalità.


L’occasione dell’intervista è l’uscita da Donzelli del libro di Boitani Timeo in Paradiso. Metafore e bellezza da Platone a Dante, un arco di tempo storico già straordinario, che chiacchierando viene ulteriormente superato. L’intervistatore così sintetizza il contenuto del libro: “Si ricostruisce meticolosamente (Boitani è anche filologo) la storia dell’influenza del Timeo platonico sulla cultura occidentale, dall’antichità ai Padri della Chiesa, a Dionigi, da Boezio alla Scuola di Chartres, da Dante al Rinascimento e a Tasso, da Galileo a Keplero, da Leibniz a Schelling, da Holderlin a Keats fino a Heisenberg”. C’è altro? Quale intervistatore sarebbe all’altezza di una tale materia? Ma è chiaro che qui si recita un esperanto culturalistico così sconfinato che non so quale studioso saprebbe padroneggiare con altrettanta scioltezza e disinvoltura. Altro che intervista per Una città! Qui siamo di fronte, sembra, a una platea immaginaria di neoaccademici divorati da smania supercomparatistica o nominalistica. Dice l’intervistatore: “Dunque spostandosi dalla letteratura e dalle arti visive alla scienza, non solo e tanto uno studio erudito ma una avventura intellettuale ricca di sorprese, un itinerario a tratti spericolato e emozionante. Dove a ogni riga l’autore ci trasmette il suo entusiasmo e il suo amore per i testi”.


Ma questa è solo pubblicità… Se “ogni riga” trabocca entusiasmo e amore per i testi, non si riesce a immaginare quanto a lungo il professor Boitani si fermi su ognuno dei troppi autori e testi che trascina a forza dentro il suo libro-contenitore. Dunque si sono letti, studiati e citati (trascrivo): Platone, Bibbia, Dante, Pound, Heisenberg, Lucrezio, Steiner, Dionigi l’Areopagita, San Paolo, Thomas Mann, Agostino, Proclo, Boezio, Apuleio, Ovidio, Boccaccio, Bacon, pseudo-Longino, Aristotele, Omero, Pitagora, Empedocle, Parmenide, Chaucer, Goethe, San Francesco, Plotino, Bonaventura, Alberto Magno, Tolstoj, Sant’Ambrogio, Virgilio, Handel, San Tommaso, Scoto Eriugena, Alano, Weil, Musil, Giorgio Colli, Dostoevskij, Ariosto, Newton, Ratzinger, Bach, Beethoven, Adorno, Cartesio. Il tutto all’insegna della mistica (per così dire). Il professore e anche poeta Boitani (recentemente ha scritto un poema in inglese) a un certo punto si lascia uscire di bocca: “Francamente, io non sono un mistico, anche se, come credo tutti, ho avuto delle esperienze di ‘contemplazione’ (che so, un cielo particolare, in certi momenti)”.


Tutti democraticamente siamo un po’ mistici contemplando le nuvole. In effetti io sono cascato dalle nuvole inciampando sull’intervista di La Porta a Boitani che erano lassù. Un dialogo fra invasati che si è infilato a caso in una rivista troppo terra terra con le sue oneste interviste a chi non sa tutto per così dire, ma sa davvero qualcosa.