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La protesta

E' inutile, il museo come cassa di risonanza per lo sdegno non funziona

Francesco Bonami

Due giovani hanno attaccato una foto di una madre palestinese con il figlio in braccio coperto di sangue su una Maternità dell'artista spagnolo Pablo Picasso alla National Gallery di Londra. Ma il gesto ha solo trasformato la tragica realtà in esperimento estetico

Meglio l’arte che diventa protesta o la protesta che diventa arte? Alla prima categoria appartengono la Zattera della Medusa di Géricault, i disastri della guerra di Goya, il Guernica di Picasso, i mobili annegati nel cemento di Doris Salcedo, solo per ricordarne qualcuno. Alla seconda, il gesto dei due giovani che hanno appiccicato su una Maternità di Picasso del 1901, alla National Gallery di Londra, una foto di una madre palestinese con il figlio in braccio coperto di sangue. L’immagine scattata a Gaza lo scorso marzo aveva già fatto il giro del mondo. Appiccicarla sopra il Picasso ha aggiunto poco, se non stimolare la curiosità cinica di chi era più curioso di sapere di che Picasso si trattasse anziché immedesimarsi ancora una volta nella tragedia di Gaza. Il gesto dei due dimostranti ha solo trasformato la tragica realtà in esperimento estetico. Incorniciata, la brutale maternità palestinese ha perso tutta la sua forza comunicativa, trasformandosi in un quadro. Un’altra ventina di queste azioni e abbiamo una mostra di cui potrebbero andare fieri Banksy, Ai Weiwei e i loro galleristi. Sicuramente i due artisti ci stanno già pensando, evitando il placcaggio delle guardie della sicurezza e passando direttamente alle strette di mano di curatori e collezionisti.

Il museo come cassa di risonanza per lo sdegno non funziona, meglio fare la pipì in chiesa durante la messa. Ma per qualche motivo chi protesta preferisce l’aura museale, essendo magari loro stessi aspiranti artisti. D’altronde era un artista quel Tony Shafrazi che nel 1974 scrisse con la bomboletta spray proprio sul Guernica di Picasso esposto al Moma di New York “Kill Lies All”, una protesta contro il presidente Nixon che aveva perdonato William Calley, l’ufficiale sotto processo per il massacro di My Lay nel 1968 durante la guerra del Vietnam. Nixon poi la guerra la finì e Tony Shafrazi diventò un famosissimo gallerista che vendeva artisti come Jean Michel Basquiat. Shafrazi se la vide davvero brutta, mentre quelli che protestano oggi sono più cauti, forse perché sanno che un’opera d’arte ha poche colpe e andarci giù troppo duri avrebbe conseguenze legali sproporzionate al risultato. A Netanyahu o a Sinwar di Picasso non importa nulla. Anzi, se necessario lo bombarderebbero pure loro senza problemi e anche solo a scopo dimostrativo. E’ un peccato che non ci siano artisti in grado oggi di fare arte di protesta di qualità. Quelli che ci provano, lo fanno solo per dare alla loro arte di bassa lega una parvenza di arte politica e impegnata alla quale abboccano qualche curatore o direttore di museo o qualche collezionista.

Chi si compra a mezzo milione di euro il Banksy con scritto “Fuck the Police” è lo stesso che chiama la polizia se qualcuno prova a rubarglielo. Così come chi si compra l’Ai Weiwei, i soldi dell’acquisto li avrà fatti vendendo scarpe in Cina fatte in uno sweat shop in Cambogia. Proteste e moralismi nel mondo dell’arte hanno le gambe corte. Il Picasso con la foto dei palestinesi appiccicata sopra non si può comprare, ma sicuramente qualcuno troverà il modo di riciclare l’idea a scopo di lucro. Se posso suggerire qualche idea per protestare contro la superficialità dei musei e la loro irrilevanza nel panorama geopolitico, direi di assoldare qualche anonimo hacker che mandi in tilt il sistema di biglietteria online del Louvre, della Tate o del Moma. Questo produrrebbe la rabbia di migliaia di visitatori fermi sotto la pioggia all’entrata dei suddetti musei o magari aprirebbe le porte a orde di persone che invaderebbero oltre la capacità di accoglienza le sale dei musei, mettendo molto più a repentaglio i capolavori rispetto all’azione di attacchinaggio  recente. Detto questo, nessuna di queste azioni risparmierebbe la vita di nessun palestinese, libanese, iraniano o israeliano che sia. Ma come si usava dire una volta, chi muore giace e chi vive si da pace o s’illude di salvare il mondo sputando in faccia alla Venere di Botticelli. Comunque aveva ragione Shafrazi: bisogna uccidere tutte le bugie, non solo quelle degli altri ma anche quelle che diciamo a noi stessi. Fuck Picasso! 

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