Nuove uscite
Intorno a “Principati e Repubbliche” di Panebianco. Un libro da non perdere
Il sociologo (e storico e filosofo) riscopre l’individuo grazie alla microfondazione che cerca di spiegare i rapporti che si instaurano tra diverse entità sociali e tra queste e le persone secondo la logica del semplice condizionamento
Almeno dai tempi di Max Weber, uno dei temi di cui si discute di più e con più passione nell’ambito delle scienze sociali è rappresentato dal cosiddetto individualismo metodologico, l’idea cioè che per capire i fenomeni sociali si debba fare riferimento alle azioni e alle intenzioni individuali. Se ne conoscono diverse varianti e soprattutto si conoscono i suoi molti nemici, tra i quali spiccano in particolare i fautori dell’organicismo, coloro che pensano che una vera comprensione della società è possibile soltanto guardando ai meccanismi strutturali della società stessa, non ai singoli individui; i fautori della sociologia sistemica, per i quali gli individui non appartengono al sistema sociale, bensì al suo ambiente; infine i fautori della cosiddetta sociologia critica, coloro per i quali la scienza sociale dovrebbe avere non un carattere descrittivo, bensì critico-normativo, in vista di una trasformazione radicale dell’esistente. Si tratta, com’è facilmente intuibile, di approcci metodologici in aperta contrapposizione tra di loro, ciascuno dei quali tuttavia potrebbe guadagnare in plausibilità proprio grazie alla capacità di inglobare qualcosa dell’altro, di assumere, diciamo così, un carattere “misto”, che sappia vedere come le varie forme sociali, pur prendendo corpo nella mente e nelle interazioni degli individui, col tempo assumono una loro autonomia, condizionando a loro volta gli individui stessi.
Precisamente la particolare interazione tra il livello individuale e quello sociale, il livello micro e quello macro, rappresenta il fulcro attorno al quale ruota la cosiddetta microfondazione, alla quale Angelo Panebianco lavora da almeno una ventina d’anni. Detto in estrema sintesi, siamo di fronte a una variante dell’individualismo metodologico, la quale, alla larga da qualsiasi ontologismo individualistico o collettivistico, cerca di spiegare i rapporti che si instaurano tra diverse entità sociali e tra queste e gli individui, non secondo un rigido determinismo causale macro-macro o macro-micro, ma secondo la logica del semplice condizionamento, che proprio per questo tiene in vita la libertà di scelta degli individui, dando forza alla spiegazione micro-macro, la microfondazione appunto. Dopo aver dato a questo tema una vera e propria sistematizzazione teorica in un’opera pubblicata nel 2009, L’automa e lo spirito, Panebianco ha cercato successivamente di farne lo strumento di comprensione di macrofenomeni sociali solitamente spiegati senza alcun riferimento alle sottostanti microinterazioni. In Persone e mondi (2018) la microfondazione venne applicata alle relazioni internazionali e qualche settimana fa è uscito il terzo volume della trilogia: Principati e repubbliche. Azioni individuali e forme di governo (Il Mulino 2024). Giova dire subito che il primo di questi libri conta 264 pagine, il secondo 639 e il terzo 759, numeri che certamente non vanno incontro al lettore, ma che certamente sarebbe un peccato se lo tenessero lontano.
Principati e repubbliche è un libro incredibile. Lo è per la mole di lavoro che c’è dietro; lo è per la facilità con la quale il politologo Angelo Panebianco sa essere all’occorrenza filosofo, sociologo o storico, in un modo da far invidia ai filosofi, ai sociologi o agli storici più raffinati; lo è infine per quanto da questo libro si può imparare. E meno male che l’autore dice di essersi avventurato in territori per lui inconsueti. Che cosa dovrebbe dire il lettore? In effetti si va dalle società senza stato agli stati arcaici, dagli imperi antichi a quelli medievali e moderni come variazioni sul tema del principato; dalle repubbliche medievali fino ai principati e alle repubbliche del XXI secolo. Si parla non soltanto di Atene e Sparta, di Roma e Costantinopoli, di Cartagine, Babilonia, Bisanzio o Mosca, ma anche di Baghdad, della Cina dei T’ang e poi quella dei Ming, quella dei Ch’ing, dell’impero dei Moghul nel subcontinente indiano e quello dei Safavidi in Persia. Quando si arriva all’impero spagnolo si tira un sospiro di sollievo, anche se ci aspetta ancora la quarta parte del libro dedicata alle repubbliche e la quinta dedicata agli ibridi. Impossibile dunque recensire in modo adeguato un libro del genere. Lo si può soltanto leggere restando ammirati dalla ricchezza del suo contenuto e dalla prospettiva teorica che lo sostiene coerentemente dall’inizio alla fine.
All’inizio del capitolo terzo, intitolato Sfera politica e microfondazione, Panebianco scrive: “Quali diverse condizioni devono essere presenti perché nasca l’una o l’altra forma di governo? Perché accade che in una polity la forma di governo si mantenga stabile e inalterata per lunghi periodi di tempo mentre in un’altra prevalgono instabilità e continui mutamenti? Come e perché cambiano le forme di governo?
Per rispondere a queste domande, continua Panebianco, bisogna esaminare i legami tra le forme di governo, i territori e gli individui e i gruppi che vi sono presenti. Nonché i cambiamenti che quei legami sperimentano nel corso del tempo”. E’ precisamente quanto egli ha fatto in questo libro, mantenendosi sempre fedele all’idea che, per rispondere alle suddette domande, è necessario tenere presente, da un lato, che una qualsiasi organizzazione politico-territoriale, ciò che Panebianco intende per polity, di cui la forma di governo è l’intelaiatura istituzionale, è sempre una combinazione di cosmos e taxis, di ordine spontaneo e ordine costituito, e, dall’altro, che la sfera politica, con le sue istituzioni, interagisce continuamente con la sfera economica e con la sfera culturale.
Ovunque insomma vediamo all’opera una metodologia mista che non lascia spazio a determinismi di sorta e che ha non soltanto il merito di essere adeguata alla realtà di cui parla, ma anche quello di rassicurarci sul fatto che anche il più insignificante di noi contribuisce nel suo piccolo al destino del mondo. Molte teorie generali della società preferiscono dare le loro spiegazioni come se gli uomini non esistessero. Ma la realtà sociale non è una sostanza spinoziana e quindi proprio per questo preferisco di gran lunga la microfondazione di Angelo Panebianco.