L'Io contro il potere
Gli “Spettri” di Monica Maggioni ci costringono a guardare la normalità del male
La giornalista Rai, inviata per oltre vent'anni nei paesi segnati da guerre e terrorismo, racconta nel suo libro le dramamtiche derive dell'ideologia attraverso sette ritratti di assassini
Monica Maggioni è una vita che parla con le immagini. Cronista Rai inviata per oltre vent’anni là dove è scoppiata una guerra, dove un terrorista si è fatto saltare in aria in mezzo alla folla, dove i talebani hanno prima aiutato l’occidente a cacciare i sovietici e poi hanno cacciato (con il loro accordo) gli occidentali, dove foreign fighter di tutto il mondo si sono radunati per far rivivere il Califfato, dove gli sconfitti di quel tentativo sono stati imprigionati, dove i neonazisti americani coltivano i loro deliri sul suprematismo bianco… Insomma, non si è fatta mancare nulla.
A tutto questo vedere in prima persona mancava la parola scritta. “Spettri” (Longanesi, 384 pagine, 18,60 euro) ha rimediato a questa assenza. Perché – almeno per me – la pagina scritta con l’intenzione del dettaglio scrupoloso – come è in questo libro, con la lentezza a volte estenuante del far rivivere e rimettere a fuoco ciò che si è visto e vissuto – è più incisiva (e quindi anche più terrificante) delle immagini. Le racconta facendo depositare in profondità quello che altrimenti potrebbe restare solo, anche se forte, emozione. Alle immagini, per quanto brutali, purtroppo ci si abitua. Il racconto riflesso obbliga a pensare, e fa più male.
Joaquín Navarro-Valls, indimenticato portavoce di Giovanni Paolo II, rivelò che in uno dei primi colloqui con il suo successore disse al nuovo Papa che la comunicazione deve tener presente che ormai siamo nel mondo delle immagini. Benedetto XVI rispose: immagini? Io penso che basterebbe un’idea. Ecco, queste pagine, alcune soprattutto, rendono bene l’idea. In particolare quelle del capitolo dedicato allo spettro di Morteza Talaei, il fondatore della Gasht-e Ershad, la Polizia morale iraniana.
Un primo assaggio, l’intervista con un ex militante: “Ci insegnano la violenza assoluta. Ogni giorno vedevo i miei compagni torturare e uccidere i prigionieri. Poi un giorno è successa una cosa terribile. Ci hanno portato dei bambini che erano stati arrestati. Erano quattordici, tutti fra gli undici e i quattordici anni. Era Nowruz, la festa della luce, e loro avevano violato la legge. Ricordo perfettamente come li abbiamo torturati. Abbiamo arroventato sul fuoco delle sedie di ferro, poi li abbiamo costretti a sedersi sulle sedie ardenti”. Maggioni annota: “Il torturatore ha un volto normale”.
La normalità del suo bastonatore la racconta anche Ebahim, giornalista, ventisette anni, finito in un carcere ufficialmente non esistente, Kahrziak. “Le bastonate sembravano non finire mai. Mentre mi bastonavano uno di loro discuteva con la moglie al cellulare. Parlavano della spesa, delle questioni di casa, e intanto continuava a colpirmi”.
Le carceri iraniane. Evin lo conoscono tutti “è il posto delle torture quotidiane”, “Qarchak è l’inferno” in specie per le donne. Mojgan, che aveva osato regalare fiori nella metropolitana di Teheran l’8 marzo, viene arrestata davanti alla figlia di otto anni, portata a Evin e trasferita a Qarchak, “una grande stanza di tortura nel mezzo del deserto”.
Marshall McLuhan è, tra l’altro, il teorico di pagina 69: “Leggete la pagina 69 di un libro. Se l’avete gradita, vi piacerà l’intera storia”. Pagina 69 di “Spettri” la trovate a pagina 290. E’ il racconto “pornografico” dell’interrogatorio di Mojgan. Che ne esce con una condanna a quasi ventidue anni e cinque mesi di carcere.
Diceva Alberto Ronchey, citando Solženicyn, che Macbeth è stato un criminale perché ha ucciso sette persone. Per ucciderne sei milioni, sessanta milioni, occorre un moltiplicatore: questo moltiplicatore del delitto è l’ideologia, una concezione totalizzante dell’uomo favorita dal potere, si travesta da programma di partito o da religione.
Nei sette ritratti di assassini seriali ideologici di cui è costituito “Spettri”, Maggioni cambia nome alle vittime, non vuole aggiungere problemi alla tragedia che già vivono. L’ha detto anche a Mojgan: “Senti, quando scriverò cambierò il tuo nome per non complicare di più le cose per te”. Risposta: “No. No. Io voglio che tu scriva il mio nome! Ho sofferto tutto questo con il mio nome […]. Siamo state carcerate e ammazzate e stanno continuando a farlo e noi continuiamo a lottare per la libertà, è importante fare le cose con il mio nome. E il mio nome è Mojgan Keshavarz”.
L’unico vero anti potere è la persona, un io cosciente di sé, della sua irriducibilità a qualsiasi potere in qualsiasi condizione si trovi. Noi occidentali, che prosperiamo liberi e incoscienti sull’eredità di una civiltà fondata sul valore della persona, abbiamo lasciato soli per decenni i dissidenti dell’est europeo. Vogliamo ora farlo anche con le donne iraniane?