Balabanoff, l'altra Angelica

Donatella Borghesi

Fu amante del Mussolini dell’Avanti! e diede lezioni di oratoria a Lenin. Alberto Toscano racconta la nonna del socialismo

Ormai vecchissima, per gli amici e compagni che ancora speravano nel sol dell’avvenire, Angelica Balabanoff aveva coniato un neologismo che potremmo prendere in prestito anche oggi: “socialconfusionari”. Lei che aveva vissuto à bout de souffle l’epoca appassionata e tragica dell’inizio del Novecento, poteva finalmente usare l’ironia. Aveva attraversato tutte le fasi del travagliato mondo socialista: riformista e pacifista, massimalista e coinvolta nella rivoluzione bolscevica, in conflitto con il gruppo dirigente sovietico, in fuga, disillusa e in disarmo, infine convintamente anticomunista e atlantista. E negli ultimi anni, con un guizzo di vita, ritorna alle origini, di nuovo riformista. D’altra parte la logica delle contrapposizioni e delle divisioni le vediamo immutate, dal nuovo “fronte popolare” francese ai campi più o meno larghi di casa nostra. Con sorpresa la vita di Balabanoff lunga quasi un secolo, dalla seconda metà dell’Ottocento a quella del secolo breve, è un concentrato del dna delle sinistre. Dimenticata da tutti, se ne erano perse le tracce: anche su di lei ha pesato l’oblio caduto sui socialisti italiani, considerati dopo lo strappo di Livorno del 1921 fratelli in odore di tradimento. L’ha riscoperta Alberto Toscano, decano dei corrispondenti italiani a Parigi, dedicandole Camarade Balabanoff. Vie et luttes de la grand-mère du socialisme (Armand Colin editore), una biografia che ha il sapore del romanzo. “Lo ammetto, sono stato sedotto dal personaggio di Angelica. Mi ero imbattuto nel suo nome mentre lavoravo a una ricerca su come era stato visto Mussolini dai francesi, e mi aveva incuriosito. Man mano che scoprivo la sua incredibile vita, capivo che non si era mai fatta rinchiudere in una casella, e per questo probabilmente è stata colpita dalla damnatio memoriae”.

 

E in effetti ha interpretato così tanti ruoli che ci si chiede davvero chi era la donna che era stata amica di Gramsci e di Trotskij, di John Reed e di Golda Meir. Era una romantica e disinvolta rivoluzionaria o una personalità fuori dalle regole della politica e dell’appartenenza ai partiti? “Ci sono state tante Angelica”, dice Alberto Toscano. “E in tutte le sue fasi è sempre stata eccessiva, tranchante, a volte imbarazzante, ma capace di una dedizione totale alla causa, e sempre in buona fede. Non era una teorica, ma era una militante infaticabile, e la sua naiveté era trascinante”. Alta poco più di un metro e cinquanta, timida e riservatissima sulla sua vita privata, era una grande oratrice. Quando parlava, nel lungo cappotto alla russa e il cappello a falde larghe, dimenticava la timidezza: adorava il suo pubblico, sapeva di essere capace di motivarlo e dominarlo. Era così famosa per i suoi comizi che diede lezioni di oratoria a un Lenin principiante… Fu proprio Lenin a definirla la “moralista scomoda”, cogliendo un aspetto indubbio del suo carattere, che si rispecchiava anche nella sua postura fisica, coincée, un po’ rigida. “Era capace di rompere rapporti non appena apparivano scorrettezze, ipocrisie, intrighi, doppiogiochismi, tutte cose che lei odiava. Non ha mai amato i compromessi e le mezze misure. Eppure era riuscita in una carriera allora impossibile per una donna: a capo del Bureau internazionale dei socialisti, segretaria del Comintern… E tutto senza fare un solo giorno di carcere e riuscendo a sfuggire agli agguati della nomenclatura sovietica”. 

   

Ha attraversato tutte le fasi del travagliato mondo socialista: riformista e pacifista, coinvolta nel bolscevismo, in fuga, disillusa, infine atlantista

 

Di agiata famiglia ebraica ucraina, Angelica era nata nella cittadina di Tchernigov, vicina a Kyiv. La data è incerta, nemmeno nella sua autobiografia My life as a rebel, pubblicata a New York nel 1938, rivela la sua età, era il suo vezzo. La prima ribellione è a 11 anni, quando chiede di poter studiare, e vince la battaglia: la madre la iscrive in un istituto per ragazze di Kharkov. Poi a Montreux, in una scuola di lingue, sempre per jeunes filles. Per la madre è una ricompensa per la fine degli studi, per la figlia è solo l’inizio. Lei vuole partire, partire è vivere. La condizione sarà la rinuncia ai diritti di successione, in cambio di una piccola rendita che le permetterà di mantenersi agli studi. “Sono felice”, sarà la sua frase preferita di quel periodo. Si iscrive all’Università libera di Bruxelles, che richiamava studenti da tutta Europa e dalla Russia zarista. Sono gli ultimi anni dell’Ottocento, c’è ancora aria di pace. “Arriva a Bruxelles come una Cenerentola della sinistra europea”, scrive Toscano, citando le parole di Angelica nella sua autobiografia: “Non avevo letto niente sulle filosofie radicali, anche se sapevo confusamente che esisteva in Russia un movimento rivoluzionario illegale, ma non avevo ancora mai incontrato qualcuno che si definisse apertamente socialista o anarchico”. Ma quando la porta dell’impegno politico si apre, capisce di voler studiare economia politica, altro che lettere. E dimostra una straordinaria capacità di impadronirsi delle lingue. Alla fine del suo percorso di studi, tra Bruxelles, Londra, Zurigo, Parigi e Berlino, è in grado di parlare e scrivere oltre che in russo, in tedesco, inglese e francese, senza dimenticare l’yddish, e presto imparerà anche l’italiano. Intanto aveva conosciuto Filippo Turati, August Bebel, Clara Zetkin, e Rosa Luxemburg che diventa il suo modello. Alberto Toscano dedica il libro ad altre quattro donne, come lei fuori dalle regole, che influenzarono molto l’approccio alla politica di Angelica: Anna Kuliscioff, fondatrice del Partito socialista italiano e autrice di Il monopolio dell’uomo, l’indomabile sindacalista Maria Giudice, sempre dentro e fuori dal carcere, la sarta-imprenditrice Rosa Genoni, con cui lavorò al giornale Per la difesa delle lavoratrici, infine l’anarchica americana Emma Goldman, my sister, my sweet sister, un’oasi di pace. “Angelica comincia a scoprire la malattia di cui soffre il suo partito, già diviso in due fazioni rivali: l’ala sinistra, che metteva l’accento sugli obiettivi rivoluzionari, e l’ala destra, che credeva in riforme progressive”. Angelica è combattuta, si sente della gauche più gauche, ma ammira i personaggi del riformismo… La scorciatoia c’è, si dice Angelica, passare all’azione. Sì, ma dove? 

  

Gli anni prima della Grande guerra sono anni di fortissime migrazioni: tra Francia e Svizzera arrivano due milioni di italiani. Angelica conosceva già la Svizzera, era il luogo delle vacanze con la madre e le sorelle. Sceglie Chiasso un po’ per caso, l’hanno chiamata per parlare del socialismo ai migranti che vivevano in condizioni miserabili. Tra gli italiani c’è un giovane uomo magrissimo, con gli occhi spiritati, non parla. E’ fuggito dall’Italia per non fare il servizio militare. Si chiama Benito Mussolini. L’approccio era stato duro: non ho bisogno di niente. Ma in Angelica forse scatta la sindrome della crocerossina. “Si sono amati e si sono aiutati”, Alberto Toscano conferma la relazione che ci fu tra i due. Galeotto fu un libro di Kautsky che Mussolini doveva tradurre dal tedesco, gli avrebbero dato 50 franchi, e Angelica si offrì di aiutarlo. Benito e Angelica restarono comunque molto legati, tanto che lui la volle a Milano alla redazione dell’Avanti! Divenne il suo braccio destro, si diceva che era lei di fatto il direttore. “Molto più tardi Mussolini dirà che senza l’incontro con Angelica sarebbe restato un piccolo attivista politico e un rivoluzionario della domenica…”. Balabanoff aspettò molti anni per fare pubblicamente i conti con Mussolini: il suo libro Il traditore fu pubblicato nel periodo americano. Ma la storia li aveva già travolti e divisi: nel 1914 Angelica è a Bruxelles a rappresentare gli italiani nel Bureau del socialismo internazionale, con l’obiettivo di evitare il massacro europeo, e si schiera contro l’interventismo. Un anno dopo sarà a Berna alla Conferenza socialista-pacifista di Zimmerwald, organizzata insieme al suo compagno, il deputato Oddino Morgari, e Robert Grimm. “Angelica è l’ambasciatrice del Partito socialista italiano e il pivot delle iniziative internazionali contro la guerra”. 

  

Angelica Balabanov (a destra) e Vladimir Lenin (a sinistra) - CC BY SA 2.0 

   

A Zimmerwald aveva partecipato anche Lenin, con la tesi che la vera pace può venire solo dalla rivoluzione. Lenin e Balabanoff si frequentavano a Zurigo, piena di emigrati russi in fermento. La speranza di un cambiamento arriva dalla Russia: la rivoluzione del febbraio 1917 costringe lo zar Nicola II ad abdicare. Lenin rimprovera ad Angelica di essere troppo vicina ai menscevichi, non crede che l’unione delle sinistre sia una scelta strategica. “E’ il colpo di poker di Lenin: o tutto o niente”, e sale sul famoso treno piombato. L’accordo con Berlino permette agli espatriati russi di passare il confine tedesco, e attraverso Danimarca, Svezia e Finlandia arrivare a San Pietroburgo. Intanto da Zurigo prosegue l’esodo dei rifugiati, tanto atteso. Angelica piange di gioia passando la frontiera russa, invia all’Avanti! una cronaca piena di entusiasmo e di fierezza. L’incontro con le sorelle sarà un disastro: “Ma davvero sei bolscevica? Fanno guerra aperta al nuovo governo, e sarà altro sangue, altre persecuzioni. Abbiamo bisogno di riforme, loro vogliono altre cose. Fai attenzione Angelica!”. Ormai Balabanoff si è inoltrata nel cuore della rivoluzione russa, ma resta la “moralista scomoda”. Stringe rapporti con Lev Trotskij, lo considera più brillante di Lenin, ma scopre presto che l’apparato bolscevico lo detesta. Inoltre, lo scandalo in cui fu coinvolto l’amico Robert Grimm, accusato di essere una spia tedesca, sfiora anche lei. “Dopo vent’anni di esilio e di lavoro per la rivoluzione, ecco che mi ritrovo, nel mio paese, davanti a un’ostilità crescente”. Chi è, agli occhi dei bolscevichi, quella piccola donna che sembra tenere i piedi in più staffe? Eppure le affidano il compito di trovare adesioni alla causa dei Soviet, il progetto è accendere altre rivoluzioni in tutta Europa. Gestisce una quantità impressionante di denaro, è di fatto un agente segreto. Ed è a Stoccolma quando arriva la notizia della presa del Palazzo d’inverno. “Angelica ritorna a Mosca all’inizio del terrore rosso, quando la polizia politica, la Ceka, comincia a eliminare chi vuole. Senza problemi, senza controllo, senza scrupoli”. Si parte di nuovo, questa volta per Berlino, con un passaporto della Croce rossa. Ed è solo il 1918. Dopo la sconfitta della rivoluzione in Germania, con l’uccisione di Karl Liebknecht e Rosa Luxembourg, Balabanoff è di nuovo necessaria a Mosca per la conferenza che prepara la Terza Internazionale. Al momento del voto Angelica si astiene. Sarà Trotskij a comunicarle che il comitato centrale aveva deciso di nominarla segretaria generale del Comintern, niente discussioni… Ma Angelica ha capito perfettamente che la stanno usando per controllare i socialisti europei, l’organizzazione l’ha in mano lei. Ha ormai dubbi su tutto, sui metodi di Zinoviev e degli altri leader bolscevichi, vede i suoi collaboratori cadere attorno a lei. “Sente il rumore di fondo di una rivoluzione che sta per deragliare”. 

   

In Lenin visto da vicino scrive: “Trotskij aveva ragione: non è stato Stalin a creare l’apparato, ma è l’apparato che ha creato Stalin”

   

Alla fine del 1919 è in treno per Kyiv, torna a casa. Ma sarà uno dei periodi più duri della sua vita, trova un inferno: terrore rosso e bianco, pogrom, epidemie e fame. E scoprirà che il disastro ucraino è una scelta precisa del Cremlino. In Lenin visto da vicino (pubblicato a Roma nel 1959) scrive: “Trotskij aveva ragione: non è stato Stalin a creare l’apparato, ma è l’apparato che ha creato Stalin. In altre parole, senza Lenin, senza ideologia, il suo lavoro quotidiano e il suo esempio, Stalin non avrebbe potuto giustificare le sue azioni se non come degno successore del primo dittatore sovietico”. Tutto corre veloce: in Italia dopo il biennio rosso dell’occupazione delle fabbriche sfuma il sogno della rivoluzione e cominciano a spadroneggiare i gruppi paramilitari fascisti. A Mosca Lenin detta le regole del Comintern: per appartenerci bisogna abiurare il riformismo. Angelica vorrebbe lasciare la Russia, tornare in Italia. Partire è vivere. Cerca una strategia di salvezza. Motivando la fuga con motivi di salute, troverà un po’ di pace prima a Stoccolma, e poi a Vienna: “Scopre un’inedita curiosità per la normalità: i libri preferiti, le foto del passato, i quaderni delle sue poesie, il samovar”. Ritrova anche il suo ebraismo, resiste a un tentativo di richiamo a Mosca, lo sa, vogliono il silenzio di una donna che sa troppe cose. Non perde mai i contatti con gli amici italiani, coordina di nuovo a Parigi il Bureau dei partiti socialisti. Ma gli anni Trenta cominciano a far paura, vorrebbe lasciare l’Europa, spera in un visto per l’America. Nel novembre 1935 è finalmente a New York. Quando cade Mussolini è cercata dai giornalisti, si barrica in casa. Nel dopoguerra deve scegliere: restare negli Usa come un’intellettuale apprezzata dai media o tornare in Italia e riprendere la vita politica? Sceglie la seconda, non si saprà mai se per nostalgia dell’Italia o del socialismo d’antan. Litiga e si riappacifica e poi litiga di nuovo con Pietro Nenni. Alla fine, la sua foto accanto allo “scissionista” Saragat fa un po’ tristezza. Era ancora una primadonna, anche se fuori tempo massimo. Muore a Roma il 25 novembre 1965.