Foto Accademia di Santa Cecilia/MUSA 

accademia nazionale di santa cecilia

Harding inaugura la stagione con “Tosca”. Una sfida vinta nonostante i rischi

 Mario Leone

Comincia il "regno" del direttore d'orchestra britannico, che non aveva mai affrontato l'opera pucciniana:  "Avrei potuto scegliere qualcosa di più sicuro, ma desideravo rendere omaggio all’Italia e a Roma"

Quella dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia è stata una “prima” ricca di novità: la “Tosca” di Puccini ha fatto il suo esordio assoluto nel cartellone ceciliano; è iniziato “il regno” di Daniel Harding che ha diretto la partitura pucciniana per la prima volta e ha debuttato in Italia, nel ruolo della protagonista, il soprano Eleonora Buratto, già interpretato solo pochi mesi fa alla Bayerische Staatsoper.

Non ci sono stati solo gli esordi ma anche i saluti: quest’inaugurazione è l’ultima per il presidente Michele Dall’Ongaro che a gennaio 2025 terminerà il suo percorso decennale. Insomma, lunedì scorso, al Parco della musica, la curiosità era alta. E’ normale che sia così, la prima di una grande istituzione musicale fonde aspetti artistici e mondani e questi ultimi fanno da cornice a un quadro in cui protagonista è la musica. Aprire la stagione con la “Tosca” nell’anno delle celebrazioni pucciniane è lodevole, ma rischioso. “La dirigo per la prima volta – ha detto Harding – avrei potuto scegliere qualcosa di più sicuro, restando nella mia comfort zone, ma desideravo rendere omaggio all’Italia e a Roma”. L’opera è stata presentata in forma di concerto, scelta difesa in questi giorni da Dall’Ongaro che ha sfidato le famose invettive di Roger Parker, convinto che la forma di concerto mini l’idea stessa di opera totale, sacrificando il dramma ed enfatizzando la musica.

Eppure, tra quelle pucciniane è quella che meglio si presta a un’operazione di questo tipo. Il successo è stato unanime e i meriti devono essere equamente suddivisi. Il primo va a Puccini, capace di creare una partitura in cui la musica è una sorta di macchina da presa che segue i personaggi nei vari quadri, senza mai cedere nella tensione espressiva. Anche qui la mano di Harding è evidente: il direttore, cresciuto alla bottega di Abbado, riesce a scandagliare l’aspetto sinfonico che caratterizza tutta la partitura. Ci accorgiamo allora di quella musica che attingerà negli anni successivi da Puccini e da “Tosca”: il “Wozzeck” di Alban Berg, “La valse” di Ravel, la “Kammersymphonie” di Schönberg, “Petruska” di Strawinskij, alcune soluzioni della “Nona Sinfonia” di Mahler e la scala per toni interi di Debussy. Harding domina, con la precisione del gesto, un’orchestra di indole sinfonica, capace di diventare un ulteriore personaggio in scena con la grande cura del fraseggio e del dettaglio dinamico.

Nel cast vocale spicca Eleonora Buratto (Tosca) che mostra una maturità nella resa del personaggio e una sicurezza vocale degne delle grandi “Signore del canto”. L’arcata di fiato è solida e regge una voce ben proiettata, capace di una variegata scelta di colori e fraseggi. Bene anche l’equilibrio nella resa del personaggio che si colloca opportunamente tra la donna innamorata e quella ferina, capace di vendicare i mali ricevuti. Jonathan Tetelman (Cavaradossi) inizia un po’ incerto, Recondita armonia non ha quell’arcana leggerezza che dovrebbe, alcuni sussulti sonori non sono necessari. In generale, il suo personaggio cresce nel corso degli atti (splendido il terzo) riuscendo a superare una sorta di gara vocale che all’inizio sembra intraprendere con Tosca.

Ludovic Tézier è Scarpia, per alcuni aspetti il vero protagonista dell’opera. Anche lui cresce via via: inizialmente troppo attento al “carattere” del personaggio, non è precisissimo in alcuni passaggi con alcuni suoni che “scappano” troppo indietro e alcuni accenti un po’ francesi. Bellissima la gradazione del livello tensivo che accompagna tutto il secondo atto in un angosciante duetto tra la ribellione di Tosca e l’immobile certezza della potenza del male di Scarpia, merito anche dell’accompagnamento dell’orchestra. Bene Giorgi Manoshvili (Angellotti), troppo dimesso Davide Giangregorio (il Sagrestano), entrambi avrebbero potuto caratterizzare di più i loro personaggi, è nel loro campionario tecnico – espressivo. In generale una sfida vinta da tutti con la gioia del pubblico che tributa oltre dieci minuti di applausi e tante uscite sul palco per i protagonisti.