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Quel paio di scarpe che ben più dei jeans riuscì a cambiare il mondo
Il nuovo libro di Tommaso Ariemma sintetizza agilmente il racconto di una storia industriale in una chiave filosofica, analizzando le dinamiche di consumo della società occidentale e abbagliata dai propri successi, immersa in quelle contraddizioni che molto spesso tende a dimenticare
Il loro marchio significa vittoria, ma con riferimento alla dea Nike ovvero velocità e volo, leggerezza e ambizione. Una vittoria quindi sì, ma non muscolare, non aggressiva ma capace di celebrare un primato con leggiadria. Ed è da qui, dal nome di uno dei marchi più famosi al mondo che si muove l’analisi socio filosofica di Tommaso Ariemma con I piedi del mondo (Luiss University Press), una rilettura più che del successo di Nike e delle sue calzature dell’immaginario che seppero e sanno imporre nel mondo che va ben al di là del dato sportivo e del suo uso. Già celebrata al cinema da Ben Affleck con “Air “che ne racconta sia la crisi che la scelta lungimirante di Sonny Vaccaro (interpretato da Matt Damon) di avvalersi come testimonial di un Michael Jordan ancora poco noto fuori dall’ambito Nba, nel saggio di Ariemma Nike diviene il veicolo per raccontare un’economia e una società figlia della globalizzazione e di un’economia-mondo che ha per sempre stravolto i termini del dibattito e anche del conflitto.
Non a caso, l’autore esordisce con il racconto di quel mondo No Global e No Logo che non fu in grado di valutare la mutazione radicale del consumo e con esso dei consumatori. La battaglia stava altrove e quell’altrove non erano le vette delle multinazionali, ma i piedi che in quegli anni iniziavano a calzare in maniera sempre più univoca sneakers. Un fenomeno che vide Nike assoluta protagonista del mercato e quindi di un immaginario che si staccava dallo specifico sportivo per divenire oggetto d’uso comune e quindi ambitissimo. Un movimento che fu determinato in buona parte dall’uso della figura pubblica di Michael Jordan.
Una produzione di desiderio mai vista prima mutò i dettami stessi della moda imponendo un oggetto come la sneaker da sempre immutabile. Sneakers e internet sono infatti gli elementi più rappresentativi di una globalizzazione che certamente attirò contraddizioni e conflitti, ma permise un dibattito e una trasparenza (anche industriale) mai conosciuta prima. I piedi del mondo analizza e dimostra attraverso una lettura inedita di Benjamin e Bourdieu, di Danto e Stiegler, l’impatto che queste apparentemente banali calzature hanno determinato nel gusto, nel costume e quindi nella nostra società.
Ariemma utilizza così il caso Nike per offrire un pamphlet in grado di leggere la nostra contemporaneità andando oltre l’apparenza di uno svilente conflitto tra società e multinazionale, ma svelando la complessità di un discorso che intreccia filosofia ad antropologia e che in quella dinamica di consumo e desiderio rivela uno spazio spesso sottovalutato e poco indagato (soprattutto dalla critica). Ariemma sintetizza in meno di cento pagine il racconto di una storia industriale attraverso quella che è a tutti gli effetti una lezione di filosofia. Un’analisi di una società, quella occidentale che abbagliata dai propri successi, ma anche dalle proprie colpe, dimentica o rimuove troppo facilmente le dinamiche di un percorso estremamente condiviso, anche nelle forme del consumo.