Perché Leonardo passa a Brera
A chi il Cenacolo? A Noi!
Questioni di stato, e di quattrini
La curiosa svolta sovranista del ministero della Cultura per il gioiello di Leonardo a Milano. Sangiuliano e il ripescaggio del centralismo statale caro al grillino Bonisoli. Un “bancomat" da 400 mila visitatori l’anno, la Lombardia ci manteneva il suo sistema culturale ma ora l’assessora (FdI) applaude. La Lega muta
A chi il Cenacolo? A noi! Mentre al Collegio Romano funzionari di ogni cordata continuano a traballare sul Titanic in attesa del colpo che li affondi, e mentre past minister e attuale ministro ancora si chiedono da che parte della loro parte politica siano arrivate le bordate contro di loro, la macchina burocratica e dei decreti del Mic procede inesorabile e ha portato a una inattesa vittoria (o forse nessuno più ci pensava) del fronte sovranista-statalista. Quello dei due ministri del governo Meloni. Il Cenacolo Vinciano, l’Ultima Cena di Leonardo, è passato di mano: finora faceva parte del Polo museale della Lombardia, sotto l’ala della regione, ma l’entrata in vigore di un “decreto di modifica al decreto ministeriale 23 dicembre 2014 sulla Organizzazione e funzionamento dei Musei statali” – insomma la riforma Franceschini – emanato mesi fa dal past minister Gennaro Sangiuliano ha cambiato le carte. Il Cenacolo sarà in futuro gestito da Brera, museo statale.
Sembra un passaggio da poco, ma non lo è. Non soltanto per l’importanza del sito che ospita uno degli affreschi più noti della storia dell’arte, ma anche perché il Cenacolo è una gallina dalle uova d’oro da oltre 400 mila biglietti l’anno, o meglio un bancomat che garantisce introiti fondamentali per reggere tutto il sistema della cultura regionale, e un domani per raddoppiare gli incassi del museo di stato. Bisogna fare un po’ di archeologia. La riforma Franceschini non aveva inserito il Cenacolo tra le dipendenze di Brera. Poi arrivò il ministro Alberto Bonisoli. Se non ricordate chi fosse non importa, era il Toninelli dei beni culturali in quota grillina. Ma era anche la punta di diamante della premiata lobby dei Settis e dei Montanari che combatteva contro la riforma dell’autonomia (vade retro mercato!) e sperava di ottenerne l’abolizione. Nel 2019 Bonisoli varò un decreto in base a cui il Cenacolo passava di mano: sempre meglio statale che regionale, avranno pensato. Il colpo di mano non passò inosservato, l’allora assessore alla Cultura della regione, Stefano Bruno Galli, professore autonomista e leghista della prima, si scagliò contro il “golpe”. “I beni culturali si dividono in tutela e valorizzazione. La tutela è giusto che rimanga in capo allo stato, mentre le politiche di valorizzazione è giusto che vengano regionalizzate”. Nemmeno l’allora direttore di Brera, James Bradburne, era troppo convinto: “Non credo sia basilare, non sono convinto. Secondo me il Cenacolo è già in buone mani, quindi posso anche non prenderlo”. Poi torna Franceschini e per prima cosa cancella con un tratto di penna la “controriforma” cinque stelle. Nulla si muove finché arriva Sangiuliano, che nel suo confusionario spirito di accentratore per le autonomie rispolvera proprio l’idea dei “grandi poli” – per Bonisoli “hub museali” – e ripesca l’idea di accorparne alcuni. Con il decreto 299/24 inviato in settembre, modifica l’elenco delle assegnazioni ai 14 musei dotati di “autonomia speciale”. E c’è Leonardo.
Breve nota previa, come direbbero al Sinodo. Qui non è in discussione se il passaggio della direzione del Cenacolo a Brera, museo nazionale, sia bene o male, meglio o peggio. Non lo sappiamo, forse non è chiaro a nessuno, ma non importa nemmeno. E’ una questione di visione. Tra l’altro, esistono molte motivazioni storiche e culturali a favore. Già nell’Ottocento il primo direttore di Brera, Giuseppe Bossi, chiedeva l’annessione. Il Cenacolo diventa poi museo statale per la volontà di Ettore Modigliani, poi allontanato dal fascismo, ed è la sua collaboratrice e poi sostituta Fernanda Wittgens a restaurarlo dopo la guerra. Oggi l’obiettivo del Mic è però “la valorizzazione” cioè fare cassa. L’idea è di avvivare a una bigliettazione da 10 milioni di euro, con oltre un milione di visitatori, magari con un biglietto cumulativo. “Nella mia prospettiva della Grande Brera”, ha commentato entusiasta il direttore Angelo Crespi, “riportare il Cenacolo nel suo alveo storico non può che aumentare la forza di un progetto che avrà importanti riflessi positivi sia sul sistema museale lombardo sia su quello nazionale”. La cosa politicamente buffa, ma che rende bene l’idea delle tensioni, spesso confusioni, nella maggioranza che pure vorrebbe generare una egemonia culturale, è che spostare la gallina dalle uova d’oro significa dare un colpo pesante all’autonomia culturale del territorio sacra, a parole, alla Lega. Il sistema lombardo è fatto da seicento musei, siti d’arte e archeologici, teatri, biblioteche, enti. E a reggerlo contribuisce molto il cash di Leonardo. Ma l’autonomista Galli non c’è più, al suo posto hanno collocato l’avvocata Francesca Caruso, ascendenza famiglia La Russa, già assessore alla sicurezza di Gallarate. Di cui francamente non si ricordano iniziative. Eppure ha trovato tempo di salutare come “un passo storico e significativo per il patrimonio culturale lombardo e, più in generale, italiano” la notizia del passaggio del Cenacolo dalla regione di cui amministra la cultura allo stato governato dal suo partito. Andrà tutto bene, ma fa un po’ ridere. Soprattutto se si considera che il direttore di Brera, entusiasta della vantaggiosa acquisizione, dovrà poi trovare il modo di gestirla e provvedere al personale. E visto che tuttora è a serio rischio la possibilità di aprire Palazzo Citterio perché i due ministri del governo sovranista per ora si sono dimenticati di fare i concorsi per il personale.