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Tra lettere e recensioni

Truffaut, lettore divoratore che si permetteva il rispecchiamento con Balzac

Marco Archetti

Quello del regista francese con i libri è un rapporto intenso e unico. Lo si capisce dai numerosi scritti in cui consiglia agli amici cosa e come leggere, prestando volumi e adattandoli per i suoi lavori, con grande attenzione ai romanzieri francesi

Il primo è Balzac. Parla proprio di lui, François Truffaut, all’amico Lachenay. “Caro Robert, ho ricevuto con grande piacere i tuoi due pacchi. Balzac è in salvo!”. Lo fa nella lettera che apre l’epistolario intitolato “Autoritratto”, che Einaudi pubblicò nel 1989 – copertina splendida, col regista che ride tenendosi la faccia leggermente gettata all’indietro mentre è seduto su una panchina con Jeanne Moreau (mani intrecciate dietro la nuca, gonnona e stivali) durante le riprese di “Jules e Jim”.


Incipit epistolare coerentissimo con tutto quel che verrà dopo: si fa fatica a trovare un messaggio, una lettera, una frase, un rigo appena, in cui il regista non parli di libri o non dichiari che libri sta leggendo o adattando – su 21 lungometraggi, 11 sono tratti da romanzi; uno lo firmò anche: “L’uomo che amava le donne”, versione romanzesca dell’opera cinematografica, uscì per Marsilio nel 1990. Passione ereditata dalla nonna materna, e virtù da necessità: sua madre non sopportava alcun rumore e l’unico passatempo che gli permetteva era star fermo col naso tra le pagine. “Leggi tutto quello che ti capita sottomano”, consiglia a Lachenay, “perché bisogna sempre approfittarne!”.

 

                       


Cronache puntualissime per gli amici: “La prima corsa, arrivato a Parigi, l’ho fatta a trovare la collana dei miei Classici Fayard”, scriveva. E infatti li aveva tutti, dalla A di Aristofane alla V di Voltaire. “Oggi ne ho comprati 36. A te mancano soltanto ‘Candide’, ‘Guerra e pace’ (8 volumi), ‘Storia di un merlo bianco’, ‘Premières méditations poëtiques’, ‘Tartarino di Tarascona’, ‘Fromont e Risler’”.


Truffaut i libri li prestava – “Chenille mi ha finalmente mandato il libro su Cocteau che avevo prestato a Gérald, un superstite nel casino”. E li contava anche – “Adesso ho 295 libri, me ne mancano 90 per completare la collezione” scriveva nel 1950. Sempre a Lachenay: “Ho letto tre Sartre di fila. Anche ‘Pigalle’ di René Fallet. E ‘Centaure de Dieu’ di La Varende, romanzo cristiano d’ambiente contemporaneo. E altra roba, soprattutto romanzi”.

Due, gli intoccabili. “Proust è meraviglioso, Balzac è decisivo. Sono i più grandi romanzieri in lingua francese”. Antoine Doinel, il protagonista de “I quattrocento colpi”, a Balzac erige un vero altarino. “Prova con Proust”, consiglia Truffaut a un amico, “ne rimarrai conquistato. Se leggi ‘Un amore di Swann’ ti farà rivivere tutta la tua avventura con Jacqueline”. Lettore divoratore, che non rinunciava agli elementari diritti del rispecchiamento. “Senza avere il genio di Balzac, ho una vita sentimentale altrettanto complicata”. 


In ogni lettera, aggiornamenti, consigli, microrecensioni. “Cosa leggi? Se hai l’occasione, ‘Il giglio nella valle’ di Balzac, ‘Il diario di un curato di campagna’ e ‘I grandi cimiteri sotto la luna’ di Bernanos. ‘La neve era sporca’ di Simenon. Anche ‘Gilles’ di Drieu La Rochelle. Sono i migliori che ho letto quest’anno”. Amava ‘Il giocatore’. E su Dostoevskij: “Si tratta di filosofia in forma di romanzo. Per leggerlo con passione bisogna farlo a lume di candela, in una stanzetta, su un ascetico lettuccio da campo”. I giudizi erano spesso senza via di scampo. A Helen Scott, nel 1960: “Camus è un cretino sentimentale. E crede di amare il genere umano. Amando tutti in blocco non ama davvero nessuno, come gli americani di sinistra”. In una corrispondenza del 1962 con l’editore Laffont, confiderà di aver rifiutato un adattamento da “Lo straniero”, romanzo “inferiore a qualunque cosa abbia scritto Simenon”, come ribadirà a una studentessa dell’Idhec che gli chiedeva disponibilità per una tesi. Rifiutò anche un “Deserto dei tartari”. “La storia non corrisponde al mio temperamento”. L’amore, però, non gli toglieva lucidità.

Alla produttrice Stéphane scrisse: “Sacrilego girare un film tratto da Proust. Solo un macellaio accetterebbe, un macellaio tipo René Clément, che dando prova della sua sfrontata volgarità, coglierà la palla al balzo”. Stéphane si rivolgerà a Flaiano, che consegnerà un adattamento proprio a Clément – Mastroianni avrebbe dovuto interpretare Swann e Jeanne Moreau, Odette. Ma il progetto si arenò. Passò a Luchino Visconti: cast stellare, costi anche. E Flaiano messo a riscrivere tutto. Ma il film non si farà mai.