Facce dispari
Il prof. Fausto Ciompi: “T.S. Eliot parla ancora dal Novecento che non è finito”
"Aveva la capacità di trasmettere emozioni sotto qualunque forma, 'l’Età dell’ansia' che descrisse non si è chiusa col secolo. Vedeva la poesia come un insieme di frammenti per puntellare le rovine e il postmoderno non s’è allontanato da questa concezione", dice il docente di Letteratura inglese all’università di Pisa e autore di “Il sangue e l’inchiostro - Una biografia intellettuale di T.S. Eliot”
Sui divani del 2024 si scorge ancora accomodata, coi suoi “ma anche no”, l’ombra ignava eppure ironica di più di un Prufrock tatuato, il puer senex cantato da T.S. Eliot centonove anni fa. E le voci pletoriche dei guru da TikTok richiamano le “voci secche” degli “stuffed men” descritte dal poeta ne “Gli uomini vuoti”. Non pare, la recrudescente longevità di Eliot, solo quella di un classico canonizzato, ma di più. Se in ogni libreria di catena c’è una copia di “La Terra desolata” è forse pure sintomo che il Novecento non è stato il “secolo breve” di Hobsbawm, ma addirittura il contrario.
Fausto Ciompi, pisano, professore di Letteratura inglese all’università di Pisa, autore per Carocci di “Il sangue e l’inchiostro - Una biografia intellettuale di T.S. Eliot”, alimenta la convinzione che siano stati e restino prematuri i numerosi tentativi di seppellimento del poeta (che fu anche critico, saggista, boss editoriale) nei quasi sessant’anni seguiti alla sua morte (1965).
È curioso che l’influsso culturale del postmoderno suoni adesso più flebile rispetto al modernismo che lo aveva preceduto. Sembra più attuale “La Terra desolata” che “Infinite Jest” di David Foster Wallace.
Fu lo stesso Wallace che paragonò il postmoderno a un party di adolescenti quando i genitori sono partiti. I ragazzi sperimentano di tutto ma a un certo punto, tra i sofà rovinati e il caos in casa, spentasi l’euforia festosa, desiderano il ritorno di mamma e papà. Lo “scherzo infinito” finisce. Il postmoderno reca con sé la consapevolezza dell’effimera durata.
Perché Eliot resta nel 2024?
Per la capacità di trasmettere emozioni sotto qualunque forma, perché “l’Età dell’ansia” che descrisse non si è chiusa col secolo. Vedeva la poesia come un insieme di frammenti per puntellare le rovine e il postmoderno non s’è allontanato da questa concezione, ma l’ha vissuta senza l’ansia, come a chi sul Titanic non importa di affondare. Eliot anticipò quest’atteggiamento ironico, poi con la conversione religiosa la sua poesia si tradusse nella ricerca di un ordine sublime, come nei “Quattro quartetti”. Non bisogna pensare però che prima fosse un ateo, tutt’altro. Era cresciuto a Saint Louis nel mito di un nonno, figura straordinaria del movimento unitariano, morto poco prima che lui nascesse ma dominante come un Super-ego sulla vita di famiglia.
Lei traccia la biografia di Eliot lungo i luoghi in cui dimorò.
Il suo percorso fu una sorta di autotopografia, le sue opere furono molto influenzate dagli spazi in cui visse: Saint Louis, Boston, Parigi, Londra. A Parigi sviluppò l’amore per la cultura francese, Laforgue su tutti, vi seguì le lezioni di Bergson e subì l’influenza del pensiero di Maurras.
Come spiega la costante fortuna di Eliot in Italia?
Ha rappresentato l’alter ego di Montale, che è a sua volta sinonimo di Novecento. L’ironia, l’uso dei correlativi oggettivi, il poeta non più profeta sono gli elementi comuni e tracciano un solco profondo da figure come W.B. Yeats, il quale si proponeva ancora come il bardo, romantico cantore delle cose passate e che saranno, che attraversa la crisi ma non la sperimenta. Invece, in Inghilterra e in America, Eliot ha incontrato fasi di difficoltà quando la valutazione ideologica ha prevalso sulla estetica, ma è un fatto che la sua “augusta presenza” abbia influito anche su poeti apparentemente lontani da lui. “La Terra desolata” resta il poema del Novecento.
Eliot piace ai più giovani?
C’è una generale difficoltà di ricezione della poesia. Uno studente medio privilegia Yeats a Eliot per la superiore capacità comunicativa e l’apparente maggiore comprensibilità. Però Eliot ha grandi versi isolati che lo rendono estremamente citabile.
Si deve ancora passare per lui?
Come disse Borges, ha inventato l’eternità in letteratura. La sua forza è il concetto di simultaneità con cui accostava libri diversi e periodi della storia. Fa una summa, un’opera transtemporale con cui parla a tutte le epoche, un compendio delle grandi problematiche dell’umanità: possiamo girarci attorno, ma restano essenziali. Eliot va oltre le contingenze e gli andamenti di borsa delle varie poetiche: salgono e scendono, ma lui c’è sempre. Vittorio Sereni distingueva tra poeti di lago e di fiume. Direi che Eliot è un poeta dello stretto: un imprescindibile Scilla e Cariddi per cui bisogna transitare. Si può confutare l’esistenza del postmoderno e vederlo come una propaggine del modernismo, si può affermare che il “secolo breve” sia in realtà lungo. Comunque sia, si passa per Eliot.
I collage di citazioni non paiono gli algoritmi con cui Internet propone i reel?
È interessante che Marshall McLuhan, tra gli estimatori della “Terra desolata”, ne avesse percepito la capacità di “palinsestare”. Con innesti e
rimandi anziché nessi logici. La personalizzazione della lettura riflette la pre-comprensione di ciascuno e crea aspettative sulla base delle esperienze pregresse, eppure l’opera non cede alla prevedibilità. Perciò non crolla.
Da Francis Bacon a Francis Ford Coppola a Stravinskij alla musica pop (“There will be time” degli Osanna): a decine hanno preso pezzi di Eliot, come un emporio dove si va tutti.
Senza contare i suoi seguaci diretti o chi vi ha aggiunto la psicoanalisi, chi il marxismo, chi lo ha visto come uno sciamano, chi lo ha detestato ma ha attinto alle sue produzioni minori. È stato il grande fertilizzante della poesia e ciascuno l’ha utilizzato a suo modo.