Geografia
Mappare il mondo nel '500 fu un'impresa di intelligence e di geopolitica
Il geografo Giovanni Battista Ramusio rappresenta un perfetto esempio di quegli umanisti che segnarono la transizione da una visione del mondo ancorata all’antichità alla rivoluzione scientifica del Seicento. Ma più che i whistleblower di WikiLeaks, ricorda gli analisti dei think tank
“Fu la più grande WikiLeaks del Rinascimento”. Per Andrea di Robilant questo è il paragone che attualizza “Navigationi et Viaggi”, il primo trattato geografico dell’età moderna, realizzato nel 1550 da Giovanni Battista Ramusio. “Il parallelo c’è perché allora il mondo era dominato da fake news. Le fake news erano dominanti. La maggior parte delle informazioni erano imprecise, false”. A questa storia di Robilant, giornalista di lungo corso e scrittore, ha dedicato il suo ultimo libro, This Earthly Globe: A Venetian Geographer and the Quest to Map the World (Atlantic Books). Ma Ramusio non è Assange. Anzi, è uomo di potere, fa parte dell’élite, è un intellettuale, un amministratore, un diplomatico, che al vertice della sua carriera diviene membro del Consiglio dei Dieci, uno dei massimi organi di governo della Serenissima, strumento di controllo dell’oligarchia. Insomma, un vero e proprio “potere occulto”.
“Era un uomo delle istituzioni che metteva tutte le conoscenze che aveva raccolto a disposizione degli studiosi. Non avrebbe mai pubblicato fatti non verificati”, dice lo stesso di Robilant. “Era assolutamente consapevole dell’importanza di non pubblicare qualcosa che non fosse verificato. La lezione di Ramusio è il lavoro certosino di verifica, un editing fenomenale, il rigore assoluto”. Il paragone fatto da di Robilant, dunque, definisce soprattutto la mole dell’opera di Ramusio, in cui furono compresi documenti sino ad allora rimasti segreti. Segreti, tuttavia, in quanto ignoti più che occultati. La rivelazione di quei documenti non aveva lo scopo di portare alla luce oscure manovre, quanto di fornire strumenti di intelligence utili a uomini di governo, esploratori. Soprattutto cartografi. “I cartografi dicevano ‘aspetto notizie da Ramusio’”.
Il geografo veneziano rappresenta un perfetto esempio di quegli umanisti che segnarono la transizione da una visione del mondo ancorata all’antichità a quella che avrebbe portato alla rivoluzione scientifica del Seicento. Ma Ramusio appare anche come il successore di Fra Mauro, autore di quella “Mappa Mundi” che lui stesso definì come uno dei “miracoli di Venezia”. Su quell’opera è stato recentemente pubblicato un saggio, Here Begins the Dark Sea: Venice, a Medieval Monk, and the Creation of the Most Accurate Map of the World, di cui s’è già scritto sul Foglio, definendolo “l’archetipo di una geopolitica basata sulla humint, la human intelligence”. Fra Mauro, come poi Ramusio, infatti, si basa soprattutto sui racconti di navigatori e mercanti. Più che i whistleblower di WikiLeaks, dunque, Ramusio ricorda gli analisti dei think tank geopolitici. Personalmente mi vengono in mente quelli dell’Institute of Defence and Strategic Studies di Singapore, soprattutto per i paragoni sempre sostenuti dai demiurghi della città stato asiatica.
Il libro di di Robilant – che scrive in inglese per formazione culturale e famigliare e “riscrive” l’edizione italiana, che sarà pubblicata da Corbaccio – in un certo senso ricalca lo spirito di Ramusio. E’ anch’esso una raccolta di personaggi che raccontano storie e viaggi poco conosciuti, misconosciuti o male interpretati. Fu Ramusio, ad esempio, a ricostruire, letteralmente, le vicende di Marco Polo, dimostrandone la fondatezza geografica e l’importanza storica e politica, sino ad allora offuscata dalle narrazioni fantastiche. Ed è Ramusio a ricordare che Colombo navigò verso ovest nella speranza di raggiungere la Cina e quindi nella consapevolezza che la terra è rotonda.
In questa prospettiva Ramusio è ancor oggi un divulgatore di segreti. Lo è perché geografia e storia sono oscurati dalla cultura woke, dalle teorie del complotto, dal primato dell’ignoranza rispetto al principio di competenza. Ed è paradossale che dopo quasi mezzo millennio si debba rileggere la sua opera per capire che Colombo non voleva dimostrare che la terra è rotonda. Se è per questo non sarebbe stato nemmeno il tema della rivoluzione galileiana.