(foto Delia Giandeini)

in libreria

Non la solita critica al neoprogressismo, più religione orientale che ideologia

Giulio Silvano

L’impietosa analisi di Stefano Davide Bettera nel saggio “Secondo natura”, dove non si fanno sconti a questo nuovo "millenarismo ambientalista"

Uno spettro si aggira per l’Occidente. E’ uno spettro caleidoscopico animato da un misto di posizioni ideologiche spesso confuse, ma che hanno in comune l’attacco alle libertà individuali, di azione e di pensiero. Nel suo ultimo libro, Secondo natura (Solferino), Stefano Davide Bettera la chiama “ideologia neoprogressista”, “un’ideologia totalitaria che è la negazione, anzi, l’antagonista di un’autentica prospettiva liberale e democratica”, un’ideologia dal “carattere intollerante” che mina la vita sociale. E’ quella che la destra Usa ha battezzato wokismo, e che va dai Queer for Hamas dei campus Ivy League alle politiche di inclusività forzata delle serie Netflix, dal nazi-veganesimo militante all’anticolonialismo feroce che porta a buttare giù le statue di Colombo. Viviamo sempre di più in una società dominata dalla “intolleranza del normativismo moralistico” e dal “neo-puritanesimo punitivo”, da una “dimensione pornografica e invadente del digitale” e da una forte “solitudine sociale”, scrive Bettera, una società dove aumenta ogni giorno l’intercambiabilità di termini come nazismo e fascismo, la classica reductio ad hitlerum a cui ormai ci siamo abituati. Ne abbiamo lette di critiche a questo minestrone di antagonismo postmoderno, ma quella dell’autore di Secondo natura prende tutto da un punto di vista interessante anche per via del suo ruolo sociale e dei suoi studi.

 

Presidente dell’Unione buddhista europea, Bettera ci fa vedere come questo “neoprogressismo” sia finito per assomigliare sempre di più a una religione. Ha valicato i confini dell’ideologia ed è diventato un credo, dove l’uomo – non più cittadino ma “complice”, come dice Agamben – non trova più spazio per il ragionamento, ma solo per nuove norme. La complessità viene uccisa, si creano dogmi. La stessa filosofia, scrive Bettera, sembra “sepolta sotto la polvere dello specialismo”. Si delinea un “neopanteismo” dove “ogni valore è intercambiabile alla bisogna”. Come se non bastasse, ecco che Bettera si trova per le mani, tra le caterve di libri ecologisti, un volume che nel sottotitolo esorta a “diffondere il verbo green”. Il libretto è una sorta di “breviario catechistico” ecologista, dove ogni domanda ha una semplice risposta. Si chiede all’adepto “adesione a una fede totalizzante” e impegno assoluto nell’evangelizzazione. Anche il linguaggio diventa quello religioso. Gli scienziati televisivi diventano le nuove divinità.

Questo “millenarismo ambientalista”, irrazionale ma che finge di non esserlo, assomiglia a una religione orientale. E come ogni religione ha il suo calendario, con la giornata della Terra, e i propri tabù, anche alimentari. Paradossalmente questa nuova religione pagana è più nichilista dell’ateismo. Avvolti nella coltre dello scientismo, si arriva a un nuovo paganesimo apocalittico, per nulla salvifico, dove chi si rifiuta di obbedire rischia di perdere il suo ruolo sociale. Un paganesimo che distrugge il sacro delle religioni precedenti. Bettera, lettore di Onfray, Lévinas e Martin Mystère, ci fa capire perché la nostra “civiltà non può coltivare uno spirito vitalistico” se cultura e memoria vengono “cancellate dall’isteria”. 

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