L'esposizione
Conrad-Bercah in mostra a Milano. I suoi disegni realizzati sulle pagine di questo giornale
Da oggi al 28 novembre alla galleria Golab sarà possibile visitare la sua nuova esposizione di 212 opere: "L’arte mi interessa perché mi fa pensare e perché mi emoziona. Esattamente come il Foglio"
Si sposta di città in città (Torino, Milano, Roma, Boston, Berlino) come un rabdomante, forse grazie al nome che rimanda ai viaggi per mare del noto scrittore unito al patronimico arabo ereditato da antenati tangerini che significa proprio “sorgente d’acqua”. E quando ha la fortuna di andare in una città che non conosce, possibilmente senza alcun programma, comincia l’esplorazione dai cimiteri: “Quel luogo è una specie di riflesso dei valori di una società”, mi dice l’architetto e artista Paolo Conrad-Bercah quando lo vado a trovare nella sua bella casa milanese. “Goethe diceva che andando per cimiteri sapeva chi erano le famiglie importanti. Scherzi a parte, di mio sarei un flâneur, mi piacciono le sorprese, camminare senza programmi, cosa che però oggi è sempre più difficile”.
Ci incontriamo per parlare di “Ombre del tempo che viene”, la nuova mostra di 212 suoi disegni alla galleria Golab (via Fatebenefratelli 5, Milano), esposti da oggi al 28 novembre, e dell’omonimo libro edito da LetteraVentidue. Le sue opere hanno al centro l’architettura ma soprattutto una caratteristica unica: sono carboncini, oli e pastelli dal tratto sicuro e metafisico realizzati sulle pagine del Foglio. Proprio così, e l’artista milanese si schermisce imbarazzato mentre apre una grande cartella con i suoi lavori: “Sono molto grato al Foglio. I miei disegni sono commenti sul presente, sulla guerra, sull’evoluzione della cultura, sempre stimolati da titoli che io trovo abbastanza geniali. Sul giornale c’è poca pubblicità, le pagine in bianco e nero, una sobrietà di fondo che è anche sobrietà di parola. L’arte mi interessa perché mi fa pensare e perché mi emoziona. Esattamente come il Foglio”.
Un’amica curiosa mi aveva raccontato “dell’architetto che disegna sulle pagine del Foglio” ma pensavo fosse uno scherzo fino a quando non ho visto con i miei occhi la straordinaria qualità dei disegni che inglobano le pagine e le trasformano in porte e finestre spalancate su altri mondi. Disegni che nascono da schizzi di progetti di concorsi, appunti di viaggi, frammenti di pensiero, stimolati da titoli di articoli di settimane e mesi passati e trasformati in pagine di un giornale futuro: “L’uomo che non sa perdere mai”, “Bellezze al bagno”, “Cerniere di tempo scardinato” vengono decomposte come in un cut-up alla Burroughs & Gysin e diventano le grandi tele dove Conrad-Bercah ridisegna il suo mondo, come ombre del passato che anticipano il tempo che viene. “Wittgenstein, uno dei miei fari intellettuali, diceva che l’arte non serve a niente, non soddisfa nessun bisogno, tanto è vero che il 99 per cento della popolazione vive felice senza aver alcun rapporto con l’arte”, mi dice. Gli chiedo se dunque l’architettura è un’arte o no e lui mi incalza: “Sì e no, perché da un lato, come dice Vitruvio, c’è la utilitas. L’architettura deve soddisfare un bisogno. Tu mi chiedi una casa e io te la devo fare confortevole, che non ci piova dentro. Però la cosa interessante dell’architetto – sennò sarebbe un geometra – è quella di trasformare questo specifico dato tecnico in una forma che travalichi la sua meccanicità”.
Pensavo di essere seduto nel salotto di un personaggio di un romanzo di Emmanuel Carrère, ma il dialogo con Conrad-Bercah è molto reale e divertente. Ridiamo soprattutto dell’architettura omeopatica praticata dall’enorme quantità di esperti di città chiamati a risolvere problematiche che non hanno nulla a che fare con la professione degli architetti: “La finanza internazionale ha capito che c’erano molto soldi da fare e all’improvviso sono fiorite decine di esperti che sanno tutto di tutto ma che fanno solo aumentare giornalmente i disastri”. Come contrastare questo fenomeno che in Italia riempie le pagine dei giornali? “Alberti o Palladio dicevano che l’architetto doveva fare una sintesi tra l’arte e la tecnica, equamente ripartite. Se ne elimini una hai stravolto la natura della professione. Ma i miei studenti dell’ultimo anno al Politecnico penso non abbiano mai letto un libro. Non di architettura, un libro qualsiasi”. Come Baudelaire che passeggia per la sua Parigi che cambia, ma nulla nella sua malinconia è mutato, Paolo Conrad-Bercah cammina sotto il sole di Roma, di Berlino, di Milano, masticando matematica e poesia, disegno tecnico e letteratura, assorbendo gli stimoli in uno stato di veglia carico di pathos. E il sabato, quando esce il Foglio weekend e il suo studio è chiuso, in stato di semi incoscienza ridisegna il mondo che ha attraversato. E lo rende più bello.