tra mito e real estate
Il mito tragico e spettrale di Ca' Dario a Venezia
Il palazzo sul Canal Grande, uno dei più belli e affascinanti della città lagunare, ha un nuovo proprietario del tutto indifferente alla presunta "maledizione" dell'edificio. Una leggenda che, riportata in auge negli anni Settanta, ha contribuito a moltiplicarne il valore
Fu verso la metà degli anni Novanta che Wesley Earl Craven, per tutti Wes Craven e basta, uno dei maestri del cinema horror, si appassionò dell’horror europeo. Dopo il successo di Scream e Scream 2, il regista si mise in testa di girare un horror in quella che considerava “la città più dark e spiritistica del mondo”: Venezia. Si recò in Laguna per tre volte tra la fine del 1997 e i primi mesi del 1998. La prima in esplorazione solitaria, la seconda accompagnato da due dei registi italiani che più apprezzava, Bruno Mattei e Antonio Margheriti (quest’ultimo citato da Quentin Tarantino sia in Bastardi senza gloria sia in C'era una volta a... Hollywood), la terza assieme a un delegato alla produzione per finalizzare i contratti per le location. Quella principale doveva essere Ca’ Dario.
Facile rimanere colpiti da Ca’ Dario. “Dall’acqua a Venezia spuntano meraviglie in serie. La più esaltante e piena è senz’altro Ca’ Dario”, scrisse Claude Monet che la usò come soggetto per una serie di suoi dipinti. È uno dei palazzi più belli di Venezia, dalla facciata di grande bellezza asimmetrica: tre loggiati ritmati da quattro archi a tutto sesto uno sopra l’altro da un lato, una bifora dall’altro e tra loro grandi medaglioni in marmi policromi. C’è nulla del genere in Laguna. Anche per questo l’hanno comprata ed esibita famiglie nobiliari ricchissime, imprenditori e gente da jet set.
Ca’ Dario ha da poco un nuovo proprietario. Anonimo come il precedente. Meglio così, meglio non far sapere di aver comprato Ca’ Dario. Anzi, meglio non sapere la storia di Ca’ Dario, c’è il rischio di suggestionarsi.
Da Ca’ Dario Wes Craven scappò. Il film che doveva girare non venne mai girato. Il regista, mentre girava per le stanze del palazzo iniziò ad avere presagi sinistri. “Un conto è fare i film horror, un altro è avere a che fare davvero con gli spiriti maligni”, disse ad Antonio Margheriti, al quale aveva chiesto di collaborare alla sceneggiatura, quando gli annunciò che del film non se ne faceva niente.
Un palazzo, sono convinti da secoli molti veneziani, dannato sin dalla costruzione, da quando crebbe storto in altezza a causa, si narrò, di un piccolo terremoto che incrinò le fondamenta per ribellarsi alla costruzione di una dimora “costruita con il sangue”.
Del committente, il mercante e diplomatico Giovanni Dario, si narravano gesta riprovevoli. Cosa abbastanza comune nei confronti di quelle persone nate e diventate ricche nelle colonie.
A incrementare il mito della “maledizione” di Ca’ Dario contribuirono eventi normali, ma che sommati uno dopo l’altro sono diventati anormali. Tipo qualche suicidio, come quello della figlia di Giovanni Dario, qualche rovina imprenditoriale dei proprietari, dai Dario a Raul Gardini passando per il ricco commerciante di pietre preziose Arbit Abdoll che nell’Ottocento aveva costruito e poi dilapidato (in donne e oppio) una fortuna. Fino alla chicca Christopher "Kit" Lambert, il manager degli Who, che comprò il palazzo prima di scappare per i troppi fantasmi che lo perseguitavano (in secondo piano passò l’abuso di cocaina che gli arrivava in barchin quasi ogni giorno).
In quegli anni, erano gli anni Settanta, il Gazzettino costruì un’epopea sulla presunta maledizione. Una maledizione che contribuì ad aumentare a dismisura il valore di Ca’ Dario. Va spesso così quando ci sono di mezzo gli immobili: il valore si moltiplica quando la storia occhieggia al mito. Indipendentemente se positivo o negativo.