medio oriente
La poesia “collettiva” di Eshkol Nevo per immaginare il futuro in Israele. Dialogo con lo scrittore
Nevo intuisce la necessità di cercare di restituire una speranza a chi ha attraversato un trauma così grande e prova a spiegare la complessità di un paese dove, a causa del conflitto, "la realtà supera la fantasia"
“In ogni gruppo di amici, c’è chi paga il prezzo di vivere in questo paese folle.” Ma chi non vive in Israele fa spesso fatica a comprendere il dolore di una nazione, dove ogni soldato è anche un padre di famiglia, un amico, un fratello. La citazione iniziale è uno dei passaggi di “Legami”, la raccolta di racconti di Eshkol Nevo pubblicata subito dopo il 7 ottobre: negli ultimi mesi, lo scrittore israeliano ha attraversato il paese svolgendo seminari di “scrittura terapeutica”, per portare uno spiraglio di speranza tra soldati, sfollati e le famiglie degli ostaggi. Nevo ha portato il suo libro anche in giro per l’Italia, ormai sua seconda casa, creando ulteriori “legami” con Israele, una nazione che, anche da prima del 7 ottobre, fa sempre molta fatica a spiegare la propria vulnerabilità. All’inizio di novembre, in occasione della XXIV Settimana della lingua italiana nel mondo, l’ambasciata italiana a Tel Aviv ha organizzato l’incontro “Il mondo israeliano, tra le righe italiane” presso la Liebling House, gioiello Bauhaus nel cuore di Tel Aviv, dove l’ambasciatore Luca Ferrari ha accolto Nevo, sottolineando il ruolo cruciale di una voce come la sua, in questo delicato periodo storico di ritorno all’antisemitismo.
In questi ultimi vent’anni, dalla traduzione del suo primo romanzo “Nostalgia”, ambientato negli anni dell’assassinio di Yizhak Rabin, attraverso la sua voce poliedrica Nevo è riuscito a costruire un ponte solido, tra Israele e Italia, dove insegna scrittura creativa presso la Scuola Holden di Torino – il campanile di Piazza Emanuele Filiberto, che non gli dà tregua neppure di notte, è diventato uno dei protagonisti del suo ultimo libro. Con il “Diario da Israele”, scritto a cadenza mensile dall’inizio del conflitto, e con l’“Ultima intervista”, Nevo ha creato una specie di “trilogia”: la sua narrativa si è fatta sempre più personale ma, al tempo stesso, anche nazionale. Come racconta al Foglio, questa sua introspezione procede di pari passo con una maturità sua e del suo paese. Per questo, condividere Israele diventata per l’autore, oggi più che mai, un modo per indagare sé stesso ma creare anche una connessione, sempre più profonda con i lettori locali e con chi lo legge all’estero. La scrittura di Nevo è un costante dialogo con il proprio io, per uno scrittore che ha alle spalle anche una formazione accademica nell’ambito della psicanalisi: “Mi sento quasi sul lettino dello psicologo in questo momento”, dice sorridendo mentre cerca di spiegare le difficoltà di restituire, fuori da Israele, la complessità di un paese dove, a causa del conflitto, “la realtà supera la fantasia”. E ci descrive alcuni momenti di vita quotidiana in tempi di guerra, come quello di condivisione del rifugio antimissili, nel proprio condominio, con una famiglia arrivata dal Sudafrica il cui figlio, temendo di non sopravvivere all’attacco, decide di dichiarare il suo amore alla figlia di Nevo che, quindi, riceve la sua prima dichiarazione in uno shelter.
Ci racconta di un matrimonio in cui tutto procede come previsto – dal catering al dj – salvo il fatto che, il giorno dopo, gli sposi non partono per alcuna luna di miele, perché lo sposo torna a prestare servizio di riserva a Gaza. Una delle più grandi sfide dell’autore è stato l’incontro con alcuni sopravvissuti al massacro nel kibbutz Kfar Aza, dove sono state uccise oltre cento persone. Dopo aver fatto raccontare loro gli ultimi attimi di pace – dal cinguettio degli uccelli, all’ultima telefonata con i propri cari – prima della sirena delle 6.29 del Sabato Nero, Nevo intuisce la necessità di cercare di restituire una speranza a chi ha attraversato un trauma così grande, e lo fa proponendo di scrivere una poesia “collettiva” ispirata ai versi del cantautore Micha Shitrit, “in primavera ternerò per le strade indossando una camicia bianca”: “Ho chiesto a ciascuno di loro di provare a descrivere un futuro, con l’arrivo della primavera. Una delle più grandi sfide per Israele è, nonostante quello che stiamo attraversando, provare a immaginarsi un futuro: rimanere umani, cercando di catturare, e raccontare, momenti di grazia.”