Il buon pastore
Chi è Mike Huckabee, il prossimo ambasciatore Usa in Israele con idee destinate a far discutere
Predicatore e bassista rock. L'ex governatore dell’Arkansas prima lo ha sfidato, poi si è convertito alla chiesa di The Donald, a volte sfiorando il ridicolo. I libri dedicati a “spiegare Trump ai bambini”
Se sei il governatore repubblicano di uno stato del profondo sud degli Stati Uniti come l’Arkansas, il minimo che gli elettori si aspettano da te è la linea dura contro il crimine e le droghe. Devi essere inflessibile, soprattutto se a violare la legge è un qualche artista straniero, uno di quelli che magari suonano in una band di personaggi che sfidano le buone abitudini e la morale evangelica locale. Un tipo alla Keith Richards, per esempio, che dal 1975 aveva sulla fedina penale una piccola condanna in Arkansas per essere stato sorpreso a guidare sotto l’effetto di stupefacenti. Mike Huckabee, quando era diventato governatore dell’Arkansas, queste cose le sapeva bene e da ex pastore battista in gran parte le condivideva. Ma la politica non è tutto e nella vita di Huckabee la fede evangelica conviveva con un’altra fede altrettanto forte: quella di affiliato alla chiesa del rock. Da bassista e membro a sua volta di una band, amava i Rolling Stones e aveva in particolare una venerazione per Richards. Ed è per questo che decise di usare i poteri da governatore per graziare il chitarrista britannico suo idolo. Una mossa che gli attirò subito violente critiche da parte di chi chiedeva perché fare un gesto così parziale, discriminando tanti altri piccoli pregiudicati per reati simili. La risposta del governatore? “Trovatemi uno che suona come Richards e perdonerò anche lui”.
Per lui non esiste una Cisgiordania e non esistono i coloni israeliani, esiste solo uno stato di Israele “from the river to the sea”
C’è molto di Huckabee in questa storia di vent’anni fa. E’ uno dei tanti casi che raccontano un personaggio fuori dagli schemi, a cui piace sorprendere, provocare, scatenare reazioni e poi uscirne con una battuta. Caratteristiche che ora potrebbe applicare al suo nuovo lavoro, che lo porterà nel luogo più complesso del mondo. Donald Trump ha scelto Huckabee come prossimo ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, facendolo diventare così il futuro uomo di punta degli americani a casa di Benjamin Netanyahu, quello che dovrà applicare a Gerusalemme le direttive che arriveranno da Washington. Non si tratta del solito ambasciatore di carriera, né dello stereotipo del generoso finanziatore elettorale americano premiato con un posto all’estero. Huckabee è un ex candidato alla Casa Bianca, un peso massimo del partito repubblicano e un personaggio che su Israele ha idee chiarissime, destinate a far discutere. Molto. Perché per lui, per dirne una, non esiste una Cisgiordania e non esistono i coloni israeliani, esiste solo uno stato di Israele “from the river to the sea” e una serie di “legittime comunità israeliane in Giudea e Samaria”. In medio oriente sta per arrivare un chitarrista battista-sionista (la definizione è sua), che porterà l’approccio dell’ala più intransigente del mondo evangelico americano, quella che ritiene l’esistenza dello stato ebraico una questione di diritto divino sulla quale non si possono accettare compromessi. Ma nello stesso tempo porterà anche uno stile fatto di leggerezza, buonumore, capacità di leadership e una certa facilità nel dialogare con tutti, doti che per qualche tempo, nel 2008, lo avevano portato a un passo dal diventare lo sfidante ufficiale di Barack Obama per la presidenza.
Vale la pena ripercorrere la storia personale dell’ambasciatore in pectore, per provare anche a immaginare qualcosa di più sulle mosse che farà l’amministrazione Trump. Perché molto di quello che accadrà in medio oriente dipenderà dalle interazioni di Huckabee con Netanyahu e i suoi ministri e con gli altri membri del team di politica estera americano a cui toccherà ereditare i dossier finora gestiti dal segretario di Stato Antony Blinken. Huckabee dovrà eseguire la linea politica decisa dal presidente e dal successore designato di Blinken, Marco Rubio, che è stato suo avversario (al pari di Trump) nelle primarie dei repubblicani per la corsa alla Casa Bianca 2016. Nello stesso tempo, l’ex governatore dell’Arkansas dovrà trovare un modo per convivere con due fedelissimi di Trump: il prossimo direttore della Cia, John Ratcliffe, e il futuro inviato dell’amministrazione statunitense per il medio oriente, Steve Witkoff, un imprenditore immobiliare noto finora soprattutto come il principale compagno di partite a golf del presidente eletto. A complicare ulteriormente il quadro, ci sarà da scoprire il ruolo – se ne avrà uno – di Jared Kushner, il genero di Trump che nella precedente amministrazione è stato il punto di riferimento per i rapporti con Israele e con i paesi arabi del Golfo. Huckabee, sulla carta, sembra portare con sé un approccio destinato ad andare in rotta di collisione con quello di Kushner. Per il futuro ambasciatore, non c’è spazio per i diritti dei palestinesi e in realtà “non esistono i palestinesi”, come ha detto qualche anno fa in un’intervista. Secondo Huckabee non sono che uno “strumento politico” usato dai paesi arabi contro Israele e se devono avere una terra, a suo avviso va trovata in Egitto, Giordania o Siria. Posizioni destinate a irritare gli stati arabi e difficili da conciliare con l’approccio di Kushner, l’artefice degli Accordi di Abramo e il tessitore dei rapporti tra Trump, l’Arabia Saudita e gli emirati del Golfo.
Da governatore dell’Arkansas, graziò Keith Richards dei Rolling Stones, sorpreso nello stato a guidare sotto effetto di stupefacenti
Eppure Huckabee potrebbe sorprendere e spiazzare, come gli è riuscito più volte nel corso della sua insolita carriera politica, che si è sviluppata intrecciandosi spesso con quella di un altro figlio celebre dell’Arkansas: Bill Clinton. Huckabee e Clinton sono entrambi originari di Hope, la cittadina a cui l’ex presidente diede ampia notorietà quando si presentò nel 1992 alla convention dei democratici che lo incoronò come sfidante di George Bush per la Casa Bianca. “A Man from Hope” era il titolo di un videoracconto che mitizzava le origini del percorso politico dell’allora giovane governatore dell’Arkansas. Huckabee è nato un decennio dopo Clinton e ha scelto l’altra sponda politica, quella dei repubblicani, ma a sua volta ha insistito molto sulla sua provenienza dalla città chiamata “speranza” (la sua autobiografia si intitola “From Hope to Higher Ground”).
Indeciso sul proprio percorso professionale, il giovane Mike seguì contemporaneamente sia la vocazione di comunicatore che quella di predicatore. A quattordici anni era già un annunciatore per la radio. A quindici avvertì la chiamata spirituale che a sedici anni lo portò a cominciare a predicare dal pulpito. Ritenuto uno studente brillante che avrebbe potuto far carriera in molti settori, scelse la vita religiosa e divenne un pastore battista a diciotto anni, sposando l’anno dopo la fidanzatina del liceo, Janet McCain (nessun legame con un altro pezzo da novanta del partito repubblicano, John McCain). La politica a quel punto era già all’orizzonte. Nel 1980, venticinquenne, fu l’organizzatore di un mega-evento della destra evangelica a Dallas a sostegno della candidatura di Ronald Reagan che segnò la saldatura tra quel mondo e i repubblicani, ponendo le basi per il ruolo decisivo che avrebbe poi avuto nelle elezioni di George W. Bush e di Donald Trump.
Per molti anni fu sia un conduttore radiofonico e televisivo, sia un pastore della Chiesa battista, portando in entrambe le professioni il proprio approccio di narratore dalla battuta facile e dal sorriso accattivante. Le prime campagne elettorali Huckabee le affrontò per scalare i vertici della Arkansas Baptiste State Convention, l’organo direttivo della sua chiesa, di cui riuscì a diventare il presidente.
Il salto definitivo in politica a quel punto era scontato e in qualche modo nella scelta c’entra Clinton. Perché era proprio il 1992, l’anno di “A Man from Hope” e quando Bill fu eletto presidente degli Stati Uniti, lasciando vacante il posto di governatore che fu occupato dal suo vice Jim Guy Tucker. Fu varata un’elezione speciale per nominare il nuovo vicegovernatore e i repubblicani andarono a cercare Huckabee, convincendolo a correre. Il pastore battista si scoprì politico raffinato ed efficace, vinse le elezioni e ci prese gusto.
Posizioni destinate a irritare gli stati arabi e difficili da conciliare con l’approccio di Jared Kushner, tessitore dei rapporti tra Trump e i sauditi
Qualche anno dopo era in corsa per diventare senatore, quando di nuovo le vicende di Clinton cambiarono i suoi programmi. Tucker nel 1996 finì inguaiato e incriminato nello scandalo Whitewater, uno dei tanti tormentoni che accompagnarono la presidenza clintoniana, prima del caos finale per il Sexgate con protagonista Monica Lewinsky. E stavolta Huckabee diede prova anche di mano ferma e leadership. Tucker per le leggi dell’Arkansas fu costretto a dimettersi per essere stato incriminato, ma ci ripensò all’ultimo minuto, provando a restare al suo posto poche ore prima che Huckabee giurasse come nuovo governatore. L’ex pastore battista la prese male, minacciò di mandare la Guardia Nazionale a cacciare Tucker e infine occupò senza mezze misure l’ufficio del governatore, tra gli applausi di tutti.
Negli anni trascorsi alla guida dell’Arkansas, Huckabee costruì una visibilità a livello nazionale come governatore repubblicano capace e benvoluto, rieletto con ampie maggioranze in uno stato con una forte presenza di democratici. Le sue ambizioni crebbero, insieme allo storytelling su un personaggio che, come nel caso della grazia concessa a Richards, sapeva come fare notizia. Nell’èra della presidenza di Bush figlio cominciò a emergere il profilo del nuovo “Man from Hope”, che suonava il basso in una sua band rock chiamata “Capitol Offense” e sapeva connettersi alla gente comune anche attraverso la sua storia di ex obeso che aveva perso 50 chili. Alla vasta popolazione americana sovrappeso, Huckabee dedicò un libro di successo dal titolo a effetto: “Smetti di scavarti la fossa con coltello e forchetta”.
Nel 2008 decise di fare il grande salto, si candidò alla presidenza degli Stati Uniti e cominciò con il botto, vincendo i caucus dell’Iowa, prima tappa delle primarie repubblicane, battendo Mitt Romney e John McCain. Per qualche mese sembrò l’unica alternativa credibile a McCain per sfidare Obama, che nel frattempo stava demolendo nelle primarie un’altra figlia dell’Arkansas, Hillary Clinton. Poi Huckabee si arrese, per riprovarci di nuovo con assai meno successo nel 2016, quando si rivelò uno dei tanti “nani politici” repubblicani (insieme a Rubio, Ted Cruz, Jeb Bush e altri) incapaci di reggere all’assalto di Trump, che li sconfisse tutti e si prese il partito per non lasciarlo più.
Come molti altri, anche Huckabee in questi anni si è convertito alla chiesa di The Donald, a volte sfiorando il ridicolo, come quando una casa editrice di cui è l’ispiratore si è messa a produrre libri per ragazzi dedicati a “spiegare Trump ai bambini” in modo apologetico. Nel frattempo è cresciuta politicamente un’altra generazione di Huckabee, con la figlia di Mike e Janet, Sarah Huckabee Sanders, che prima si è fatta le ossa come portavoce della Casa Bianca di Trump e poi è diventata a sua volta governatrice dell’Arkansas, ponendo le basi per una dinastia nello stato del sud.
Mike Huckabee in questi anni, tra una campagna presidenziale e l’altra e a margine di un’intensa attività televisiva (ha condotto a lungo un programma su Fox News e ora ne ha uno su Tbn, un network cristiano), ha sviluppato una passione che adesso l’ha portato al nuovo incarico: lo studio del medio oriente e della realtà israeliana in particolare. Il futuro ambasciatore si è recato decine di volte in Israele, ha guidato viaggi organizzati sui luoghi biblici ed è diventato soprattutto amico di molti esponenti dell’ala destra del mondo politico israeliano. Quando si è diffusa la notizia della sua nomina da parte di Trump, il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha postato su X una serie di cuoricini dedicati a Huckabee, il ministro delle finanze Bezalel Smotrich ha detto di non vedere l’ora di poter discutere con lui “dell’innegabile appartenenza storica dell’intera terra di Israele al popolo di Israele”, mentre l’ambasciatore israeliano all’Onu, Danny Danon, ha fatto un pubblico elogio del “mio caro amico Mike”.
Adesso resta da vedere se anche in Israele Huckabee si produrrà in dichiarazioni a effetto, scatenando polemiche e crisi diplomatiche, per provare poi a uscirne con una battuta. Non sempre il metodo ha funzionato. Quando perdonò Keith Richards, per esempio, il suo commento spiritoso piacque. Ma anni dopo la star dei Rolling Stones, nella sua autobiografia, ha scritto di aver considerato il gesto “solo una trovata politica” e ha aggiunto una nota che deve aver fatto molto male a Huckabee: “Quello tizio come chitarrista non vale niente”.