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Etica e pagine

Dilemma Zerocalcare. Più che dei suoi libri, si parla delle sue apparizioni

Andrea Minuz

Sintonizzato sulla barricata ma coccolato dai media, antagonista ma in cima alle vendite. Più lui tende verso la lotta, più lo riempiono di soldi e applausi. Il fumettista romano è un brand etico, ma i tormenti sull’andare o non andare a eventi, fiere, festival, sono la sua vera opera d’arte

Ho molta simpatia non ricambiata per Zerocalcare, nel senso che non ci conosciamo, quindi una simpatia a senso unico. Non seguo la graphic novel, ma so che è uno scintillante girone nel Maestoso Discorso dell’Impegno, forse l’unica letteratura che smuove qualcosa. “Zerocalcare sposta voti”, mi dicono. Mi fido. Non ho visto la serie su Netflix, ma ho seguito le polemiche a strascico sul romanesco biascicato. Come direbbe Sangiuliano la vedrò, è che “non ho ancora avuto modo di approfondire”. Ho però come tutti ben presente l’arrovellamento interiore del personaggio e non lo invidio. Non invidio i pesi, le zavorre, l’infagottamento di problemi e inquietudini che si porta sulla coscienza e di cui ci informa attraverso Instagram, mentre ho grande ammirazione e invidia per le sue royalty. Zerocalcare, per me che sono anche anagraficamente tagliato fuori dai suoi disegni, è ormai soprattutto un brand etico. Un groviglio di dilemmi irrisolvibili, tipicamente di sinistra, anche se lui non si definirebbe così. Sintonizzato sulla barricata ma coccolato dai media, antagonista ma in cima alle vendite, come un “Dottor Zivago” dei centri sociali. Condannato dalla biologia a essere maschio, bianco, occidentale, ad aver studiato in una scuola da ricchi (il prestigioso e pariolino “Chateaubriand”, liceo francese di Roma), Zerocalcare indossa uno zainetto di colpe sempre in agguato che quotidianamente lo opprimono, asfissiano, schiacciano. Più lui tende verso la lotta, più lo riempiono di soldi e applausi.

Più vende, più in chat gli scrivono, “a Zero, proprio nun te riconosco!”. Come si può vivere così? Male direi. Zerocalcare è diventato infatti un dilemma vivente. I tormenti sull’andare o non andare a eventi, fiere, festival, sono la sua vera opera d’arte. Non si parla dei suoi libri ma delle sue apparizioni. Verrà al Salone o non verrà? Verrà e si dissocerà? Allora magari va ma resta fuori coi manifestanti. “Lucca Comics”, evento nerd e pacifico diventa sui social somma questione etica perché ci sono gli israeliani e Zerocalcare non ci va, meglio non farsi vedere con certa gente e a cascata in tanti lo seguono sperando in un briciolo della sua visibilità, come le remore attaccate alla scia delle balene. Ora i problemi suoi di maschio bianco per il “caso Caffo” a “Più libri più liberi” (“più liberi de che? Qui come fai sbagli”, dice la coscienza di Zero). Dei libri nessuno parla. Conta il posizionamento etico. Scalare la hit-parade della purezza con capriole sempre più acrobatiche. Leggo il suo lungo post, mi gira la testa, sento tutto il suo affanno. Perché nel mondo di Zerocalcare non basta “no grazie, non vengo”. Macché. Bisogna condividere la motivazione. Poi bisogna condividere l’arrovellamento. Poi bisogna rispondere alle critiche del tribunale dei giusti che approva o non approva. C’è la vetrina e il retrobottega. Il film e il making-of che procedono sempre insieme. E tutto deve andare sempre in scena. Povero Zerocalcare, che fatica!