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il dibattito

Dell'uomo occidentale e della religione che ne vorrebbe l'estinzione

Odio e risentimento, libertà mal compresa e wokismo imperante. Repliche e spunti sul saggio di Rémi Brague

Il Foglio ha pubblicato – con il titolo “Perché l’uomo occidentale si è ridotto a odiare se stesso” –  la lunga lectio che il filosofo Rémi Brague ha tenuto a Madrid, invitato dalla Fundación Neos. Qui ospitiamo alcuni interventi di intellettuali che approfondiscono alcune delle tematiche rilevate da Brague. Ne scrivono Sergio Belardinelli,  già professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nel dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Bologna; Riccardo Manzotti, che insegna Filosofia teoretica alla Iulm di Milano e Simone Regazzoni, attualmente docente presso l’Istituto di ricerca di piscoanalisi applicata di Milano (Irpa).


 

Condivido pressoché in toto l’analisi fatta da Rémi Brague dei tratti salienti di ciò che nella cultura occidentale contemporanea “va al contrario”. I cinque “passi” sui quali si sofferma, dal differenziale demografico tra nord e sud del mondo, alla cancel culture, all’ostilità nei confronti del cristianesimo, al decostruttivismo rispetto a ogni limite naturale o culturale, fino alla progressiva perdita di legittimità dell’uomo nel contesto dell’ecologia profonda oggi di moda, sono passi decisivi. Condivido anche il fatto che essi convergano verso un “unico punto focale: l’odio per se stessi”. Nella sua astrazione, l’uomo occidentale ama ormai per davvero tutto “ciò che vorrebbe che fosse” e odia tutto “ciò che è”. Ma proprio per questo ho qualche perplessità ad accettare che tale odio scaturisca dall’invidia verso noi stessi, come sostiene Brague. La sua analisi dell’invidia come “peccato diabolico”, “astratto”, è sublime. Lo stesso direi del suo riferimento a Monod, secondo il quale ciò che siamo è frutto del caso e della necessità, come una sorta di passo preliminare all’ecologia profonda che vorrebbe l’estinzione dell’uomo. Ma siccome mi sembra un po’ astratto imputare questo esito all’invidia per noi stessi, credo che sia meglio mantenere aperta la possibilità che si diano anche altre spiegazioni.
Una di queste, combinando diversamente gli elementi del discorso di Brague, potrebbe ricondurre l’odio di sé da parte dell’uomo occidentale all’identificazione del proprio bene soltanto col piacere, all’identificazione della libertà col gusto di fare semplicemente ciò che ci piace. In termini freudiani, il principio del piacere ha preso il sopravvento sul principio di realtà. Naturale che per questa strada saltino tutti i limiti e si finisca per odiare tutte quelle forme sociali, istituzionali, culturali che richiedono un po’ di impegno, fatica, responsabilità (la parte migliore di noi). Per riprendere gli esempi di Brague, è difficile trattenersi dal mangiare un piatto succulento o dall’andare a letto con la moglie del vicino in vista di un bene e un piacere più grandi. Il piacere è immediato per definizione. Quanto alla realtà, essa può soltanto vendicarsi per essere stata dimenticata. E lo fa in continuazione. Ne fanno fede la stanchezza, il risentimento, l’odio e la paura che pervadono la cultura del nostro occidente.                              
Sergio Belardinelli

 


Rémi Brague si interroga sul perché tanti oggi vedano l’essere umano come un male da cui il mondo dovrebbe liberarsi. Per Brague la causa comune è l’odio verso noi stessi. Non ha torto, ma c’è di più: l’uomo oggi si sente in colpa per il fatto stesso di esistere perché per il semplice fatto di esserci richiediamo uno spazio che utilizza risorse, ambiente, materiali; un costo che non sappiamo più giustificare. Il caso che ci ha creati (Monod) non pare più una spiegazione moralmente adeguata. L’origine di questo senso di colpa si trova nella metafisica implicita della scienza, secondo la quale saremmo un nulla che si è illuso di essere qualcosa. Molti neuroscienziati sostengono che l’io è un’illusione creata dal cervello e che il mondo è privo di significato. E’ il punto cieco di cui parlano Adam, Gleiser e Thompson nel loro recente e omonimo libro (Einaudi, 2024). Effettivamente, se l’uomo fosse un nulla, come suggerisce il nichilismo implicito dello scientismo occidentale, sarebbe giusto sentirsi in colpa: qualsiasi costo, se pagato per far esistere l’io immateriale che la scienza ha messo fuori dalla realtà, sarebbe troppo alto: il senso di colpa esistenziale dell’uomo è bello e servito! Ma non deve per forza essere così. Noi esistiamo e siamo qualcosa. L’essere umano è, come tutto il resto, la manifestazione del mondo e ha un suo valore, non meno dell’ambiente. Oggi manca una nuova antropologia che – messo da parte tanto l’antropocentrismo ingenuo quanto il nichilismo implicito delle neuroscienze – trovi la materia di cui è fatta la nostra esistenza. Siamo mondo non cervello. Abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di esistere, non per dare piacere a un io benthamiano chiuso nel cranio alla ricerca di un piacere fine a se stesso, ma perché realizziamo la natura, in quanto momenti di esistenza. Basta con il senso di colpa, cerchiamo piuttosto di dare valore al vivere, riscattando la nostra esistenza.
Riccardo Manzotti

La vittoria di Trump è stata un evento inatteso solo per le élite culturali occidentali che non hanno compreso un fattore chiave delle elezioni americane: il rigetto di massa della religione woke che si è imposta come un neo fondamentalismo al cuore della democrazia americana. Bastava ascoltare The Joe Rogan Experience, il podcast più seguito degli Stati Uniti, per comprendere la centralità del fattore woke. Piaccia o meno, quel voto ha avuto, per milioni di Americani, una dimensione liberatoria di fronte a un fenomeno religioso incentrato sul godimento della colpa. Nel Disagio delle civiltà Freud scrive: “Le religioni non hanno mai trascurato la parte del senso di colpa nella civiltà. Anzi pretendono di redimere l’umanità da questo senso di colpa, che chiamano peccato”. La religione woke ha individuato una parte dell’umanità come il colpevole universale di tutti i peccati: l’occidente e, più precisamente, il maschio-bianco-occidentale sarebbe strutturalmente colpevole di ogni male. Da un lato, visto che il wokismo nasce in occidente, ci troviamo di fronte al godimento masochistico di una civiltà che si autoflagella; dall’altro, vediamo il tentativo di esercitare un controllo sadico sull’Altro: tu in quanto bianco non puoi parlare di questo o quello! tu in quanto maschio sei strutturalmente violento! tu in quanto occidentale sei oppressore! ecc. Ecco i due volti della religione della colpa. Questa religione non ha nulla a che fare con l’evoluzione critica di una civiltà, ma è animata dallo spirito fondamentalista della purificazione in nome del Bene che, con il sacrificio dell’occidente, sarà finalmente realizzato… Come tutti i fondamentalismi anche il wokismo ha in odio una cosa ben precisa: la vita dei viventi umani, una vita fatta non di astratte purezze ideali persecutorie e mortifere, ma di pulsioni, desideri, corpi, forza, che non accettano di essere colpevolizzati e cancellati.
Simone Regazzoni