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"Studiando"

Buttafuoco guarda al futuro e nomina Koyo Kouoh curatrice della Biennale di Venezia

Francesco Bonami

Il presidente sceglie la curatrice del Camerun per il 2026, con una mossa che non è per nulla scontata. La Biennale conferma di essere l’unica istituzione italiana ad avere gli anticorpi contro qualsiasi tipo di governo

Con la nomina di Koyo Kouoh come curatrice di Arti Visive del 2026, la Biennale di Venezia conferma di essere l’unica istituzione italiana ad avere gli anticorpi contro qualsiasi tipo di governo. Avevo chiesto qualche giorno fa al presidente Buttafuoco che criteri seguisse nelle sue nomine per i diversi settori. “Studiando”, mi aveva risposto. E studiato e riflettuto deve aver fatto, perché aldilà di chi, superficialmente, definirà la sua scelta “politicamente corretta”, la curatrice del Camerun non è per nulla una scelta scontata.

Dall’Africa erano già giunti, abbastanza recentemente, Okwui Enwezor, nigeriano, e Lesley Lokko, ghanese-scozzese. Si poteva comodamente saltare un altro giro senza essere accusati di suprematismo nord-occidentale. Ma già l’altra sera, nel corso della trasmissione “Lo Stato delle Cose” su Rai 3, Buttafuoco faceva intuire la direzione delle sue riflessioni sottolineando la vocazione della Biennale a guardare al futuro e in particolare a quel continente che rappresenta il futuro, l’Africa, con una popolazione in cui l’età media è sotto i vent’anni. Koyo Kouoh è quindi la scelta giusta, a patto che guardi anche lei al futuro e non sia vittima della sindrome della curatrice corretta. Quella sindrome che porta (in particolare alla Biennale) curatrici e curatori a voler riscrivere la storia passata, a dissotterrare i morti e spolverare le mummie. Da Kouoh mi aspetto il futuro. D’altronde, nel 2003, il sottoscritto l’aveva invitata a far parte della giuria di quella Biennale, essendo lei una voce fra le più interessanti e nuove della geografia dell’arte. Voce che nel corso degli anni si è confermata senza troppe strategie di carriera fra le più interessanti. Ora è alla prova del nove, nel senso che potrebbe essere davvero la prima curatrice a mostrarci non un mondo ribaltato a seconda delle proprie ideologie, ma un mondo ecumenicamente piatto dove l’arte possa essere giudicata senza pregiudizi geografici,  climatici o genetici.

Comunque sia, ci è andata di lusso. Vista la casualità – nel migliore dei casi – e la perversità – nel peggiore – delle nomine governative ci si poteva aspettare da parte di Buttafuoco una scelta politicamente corretta, essendo le arti visive contemporanee un campo alla mercé dei gusti individuali e collettivi senza troppi rischi connessi e un facile terreno di scambi e sdebitamenti. In previsione di questo io mi ero preparato al peggio, dal curatore o curatrice nostrana in quota o iperruffiano, all’artista gettonato del tipo Ai Weiwei o Abramovich. Non tanto perché sottovalutassi le capacità intellettuali dell’attuale presidente, ma perché se al suo posto ci fosse stato Massimo Cacciari avremmo potuto ritrovarci con Giuseppe Penone o Roberta Scorranese. Non per cattiveria ma per cinico snobismo e cecità visiva che non va oltre Mondrian. Detto questo, non so se Buttafuoco capisca qualcosa di arte contemporanea, ma la sua scelta dimostra che sa di non sapere e che non è cinico nonostante l’occhio mefistofelico. 

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