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Nuove uscite

A scuola da Norman Mailer, uno che non scriveva con il buonumore

Marco Archetti

Lo scrittore aveva fede nel fatto che un romanzo lo si dovesse scrivere “per intensificare ed esacerbare la coscienza morale della gente”, per stabilire un rapporto di attrito, un rapporto vivace e proficuo, col fatto che ogni giorno il mondo ci si presenta diverso dal giorno prima. È in libreria “Il difficile mestiere dello scrittore”

"Ho ragione e torto così spesso che non ho alcun interesse a convincere gli altri a pensarla come me”. Polemico, smodato, contraddittorio, splendide basette e sei matrimoni – Norman Mailer aveva anche dei difetti? “Il difficile mestiere dello scrittore” (La nave di Teseo, 442 pp., 25 euro) è una facilissima lettura, lo è anche per i non maileriani o per quelli di non stretta osservanza. Ed è un’ottima occasione per passare del tempo con qualcuno che ancora – ancora nel 2003, quando il libro uscì col più ruvido titolo The Spooky Art – intendeva la scrittura non come la gestione di un’azienda di meringhe con l’obiettivo del pareggio di bilancio emotivo del lettore, ma aveva fede nel fatto che un romanzo lo si dovesse scrivere “per intensificare ed esacerbare la coscienza morale della gente”, per stabilire un rapporto di attrito, un rapporto vivace e proficuo, col fatto che ogni giorno il mondo ci si presenta diverso dal giorno prima. Quindi niente tesi, niente teorie, niente messaggi. “Quando scrivo sono raramente di buonumore”. Chissà cosa direbbe, oggi, della telegenia di certi scriventi, visitati dalla grazia della Costruzione edificante, illuminati dalla luce della missione e della socievolezza.

 

Ma andiamo oltre, e senza pensarci un momento iscriviamoci alla scuola di scrittura di Norman Mailer, uno che ha letto i Vangeli e ha pensato: “Massime degne di Shakespeare, ma scritte malissimo”, uno che voleva scrivere un racconto breve e gli è saltato fuori “Il nudo e il morto”, uno che ha vinto due premi Pulitzer e due National Book Award. Uno che, chiacchierando con Gore Vidal, definì il romanzo “la grande Stronza della vita di un uomo”. Quella che ti fa soffrire come un cane, poi ti metti con un’altra, ti metti con dieci altre, ti dici che te ne sei liberato, e te ne sei effettivamente liberato. Finché una sera giri l’angolo, la Stronza è ancora lì che ti sorride e tu “sei di nuovo in trappola” – ecco, da uno così accettiamo ogni genere di predica.

 

“Nel momento in cui un marito o una moglie smette di fidarsi del coniuge, la sua vita può diventare dolorosa, ma anche, innegabilmente, interessante”. Punto primo: ciò che deve interessare a chi scrive romanzi non è distinguere tra doloroso e interessante – sono sempre sinonimi. Punto secondo: “I romanzi non si scrivono seguendo l’ispirazione per un paio d’ore a settimana. O perdendo troppe mattine per i postumi di una sbornia”. Quindi lavoro, lavoro, lavoro – è sempre la risposta giusta, indipendentemente dalla domanda. Anche se poi, certo, a dirla tutta “la scrittura è una cosa fantastica di cui parlare, ma come attività quotidiana non è piacevole”, ci inchioda Mailer. “Sei solo, e ogni giorno devi affrontare un foglio bianco”. Non solo: anche i parenti. “Molti giovani romanzieri tendono ad attingere il loro materiale dall’ambiente famigliare o dal mondo degli amici. La domanda è: come si riesce a farlo senza rendere troppo riconoscibili tutte queste persone care in modo da non suscitare la rabbia e le lacrime dei diretti interessati? Non si può, è impossibile”.

 

Dunque, avanti per la propria strada, perché il punto – il terzo –  è avere la risposta definitiva al grande problema che si presenta a ogni scrittore: o produrre un lavoro che non affronti ciò che davvero ci interessa (nessuno piangerà), o andare al fondo delle cose (tragedia garantita). Senza trascurare il lodo Devlin (Charley, grande amico di Mailer): “Ti mancano le metafore?”, gli chiedeva. “Ti manca la vita vissuta! Perché sono le metafore”, lo rampognava durante lunghe passeggiate, “a rivelare la reale comprensione della vita di uno scrittore”. Lo ammette anche Mailer: “Lo stile è metà del romanzo”. Qualche nome? “Quando leggiamo Proust, Stendhal, Joyce o gente come Tolstoj o Thomas Mann, abbiamo l’impressione che un certo lato della mente divina non sia estraneo al loro stile”.

 

Ultima raccomandazione: volare più alto dei mezzi dozzinali di un bestsellerista. Dunque bandire dalla pagina “eccitazione irrefrenabile”, “tensione insostenibile”, “coraggio indomito”. “Non fatemi venire la schiuma alla bocca”, minaccia Mailer, scrittore, malvivente e boxeur, uno capacissimo di tornare nell’al di qua solo per mollarci un cazzotto.

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