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La Diana ritrovata. Melania Mazzucco all'inseguimento gentile della Karenne
In "Silenzio" (Einaudi) la scrittrica racconta la diva del muto ingiustamente oltraggiata da Nabokov
Il gran vento del Novecento, le sue inquietudini, la grandezza e l’orrore: Melania Mazzucco è riuscita nella sovrumana, umanissima impresa di racchiuderle, anzi di farle di nuovo sprigionare da una vita di donna. Sospettata per trent’anni di essere una spia, pericolosa perché “originale”, bizzarra, intelligente. Libera? Anche, come strilla la réclame a Torino nel 1916: LA PIÙ INTELLETTUALE, LA PIÙ ELEGANTE, LA PIÙ PROFONDA, LA PIÙ SUGGESTIVA ATTRICE DELL’ARTE CINEMATOGRAFICA.
Le sette vite di Diana Karenne è il sottotitolo di Silenzio (Einaudi, 656 pp.), Diana Karenne è uno dei tanti nomi di questa protagonista, di questa fuggiasca, di questa persona che ha cercato di esistere come voleva, mai come volevano gli altri, e poi ha deciso di non esistere più. Diana Karenne ha attraversato fama, grande bellezza, uomini, guerre, ha amato l’Italia e dall’Italia è stata riamata. Ma nascendo (è uno dei suoi segreti) a Kyiv, e sempre cercando di cancellare, e poi ritrovare, le proprie tracce, le orme, le origini di una grande storia in un piccolo posto che gli ultimi nostri anni hanno martoriato, il distretto di Bucha, in Ucraina. E’ una delle molte scoperte che Melania Mazzucco ha fatto su Diana Karenne (che con il passaporto russo si era registrata nel 1914 Dina Karren, associandosi ad Anna Karenina e dando alla propria vita il destino di un’eroina da romanzo russo. Ma anche Dina Belokorski, Dina Feyguine, Nadeja Belokorska, Nadejda Otzoupe): per tutti, diva del cinema muto, la donna che cambia volto in ogni film, in ogni fotografia, e che guarda dritto in macchina. L’attrice, l’artista, che a un certo punto dice: il regista va in guerra? Il film si fa lo stesso, venite qua, dirigo io.
“Silenzio. Le sette vite di Diana Karenne”. Molti nomi per questa protagonista, questa fuggiasca che ha cercato di esistere come voleva
Per Melania Mazzucco, Dina è la donna da inseguire con amore e rispetto e con senso di restituzione: è il Novecento femminile a cui ridare memoria, dignità e talento. Il contrario dell’inabissamento. Scoperte di archivio, letture, traduzioni, indagini, viaggi interrotti dal Covid e dalla guerra, connessioni inaspettate che partono da altri libri e altre storie, altre donne, studi che compiono decenni e che chiedono all’autrice, la più importante scrittrice italiana, di interrogare anche sé stessa. Il caso non esiste, né in letteratura né nella vita, le ingiustizie invece accadono spesso, e allora bisogna vendicare Diana Karenne, che un grandissimo autore immortale e di quel tempo, Vladimir Nabokov, ha ridicolizzato senza conoscerla. Melania Mazzucco, e solo questo meriterebbe un romanzo, non ha accettato che le ultime parole scritte su Diana Karenne fossero una presa in giro. In Camera oscura, pubblicato nell’aprile del 1932, quando Diana aveva già vissuto molte delle sue vite (la vediamo comparire per la prima volta, elegantissima e in un favoloso albergo di via Veneto, nel 1914), Nabokov fa la parodia di un’attrice in declino, ridotta a pubblicizzare un rossetto con un pupazzo di peluche su una spalla: un porcellino d’india. Ma ancora peggio, Nabokov fa comparire di nuovo questa “giumenta senza talento” descrivendola come una cretina, talmente ignorante da non avere mai letto Tolstoj, avvolta in pellicce nonostante il caldo, disperatamente al servizio del protagonista Bruno. L’attrice sul viale del tramonto si chiama Dorianna Karenine, il riferimento è talmente facile che tutti la riconoscono. Melania Mazzucco, che era già immersa nella personalità e nei nascondimenti di Diana, l’ha vista precipitare nella letteratura russa della diaspora, la letteratura che l’ha formata come lettrice e la sua origine come scrittrice. E si è ricordata di avere già letto di lei in Camera oscura, e di avere riso da ragazza di quella Dorianna Karenine con il peluche sulla spalla. Sa che il grande amore di Diana, Nikolaj, è diventato nemico di Nabokov, sa che quella è una vendetta, una cosa fra uomini, e allora perché ridicolizzare Diana? Questa scoperta arriva a pagina 500, ma chi legge sente il fremito di rabbia di Melania Mazzucco, e adesso sappiamo che Diana va riscattata da un Novecento che l’ha lasciata esistere per un po’, ma che l’ha dimenticata e calpestata. Melania Mazzucco procede, nel suo mestiere di scrittrice e di studiosa, per inabissamenti storici volti a far emergere quello che era caduto troppo in profondità perché potessimo ricordarcene, perché potessimo capire. L’ha fatto con Plautilla Bricci, la prima architettrice dell’età moderna, l’ha fatto con i figli e le figlie di Jacopo Tintoretto, l’ha fatto, tornando nel Novecento, con Annemarie Schwarzenbach in Lei così amata: scrittrice, fotografa, giornalista, anche lei fedele soltanto a sé stessa. Anche lei ha attraversato l’Europa, anche lei ha conosciuto l’esilio. Del resto anche in Io sono con te, Melania Mazzucco racconta la storia di chi è costretto a lasciare la propria casa: la vita di una migrante partita dal Congo che compare nella prima pagina confusa e perduta in un punto preciso della Stazione Termini, a Roma.
Tutto quello che Melania Mazzucco racconta in Silenzio è accaduto davvero, si è appoggiato davvero dentro al cuore, per le strade di Roma, di Parigi, Torino, Napoli, ha davvero calpestato quei sanpietrini e ha indossato la pelliccia di leopardo albino per far colpo sul produttore, alle sette del mattino in piazza San Pietro. E’ magnifico che la pelliccia sia stata noleggiata in una sartoria teatrale poche ore prima, magnifico che Diana Karenne si inventi il corpo, la giovinezza, le origini aristocratiche, gli studi importanti per plasmare da sola la propria vita. Magnifico che, nelle interviste che le faranno negli anni della fama, riesca a non rispondere mai alle domande, ma a lasciar supporre, immaginare, insinuare.
Roma, Parigi, Torino, Napoli. La pelliccia di leopardo per far colpo sul produttore, l’invenzione delle origini aristocratiche e degli studi importanti
Diana arriva a Roma nell’ottobre 1914, sola, e prende alloggio nel più lussuoso albergo di via Veneto, l’Hotel Imperial. Melania Mazzucco la segue passo passo, così come di lì a poco la seguirà la polizia. Ma la polizia si ferma sotto le finestre illuminate, o davanti al portone, mentre Melania Mazzucco entra anche nell’animo di Diana Karenne, che parla pochissimo (in francese) e assorbe moltissimo. Informazioni, modi di dire, cultura, comprensione dei movimenti sociali e mondani. A Roma quell’anno ci sono quaranta cinematografi. A Napoli diciotto, a Torino diciassette, a Venezia dodici e a Milano sette, ma anche il più piccolo paese della Sardegna ha la sua sala da film muto, e Diana Karenne comparirà ovunque, la vedranno tutti e sogneranno sulla sua bellezza, sulla sua libertà, sulle disgrazie di questa ragazza fatale. Immagineranno una vita perfetta, fortunata, scintillante, non sapranno mai che cosa ha passato Diana Karenne e che cosa deve ancora passare.
L’ostinazione e l’onestà di una scrittrice, la sua capacità di diventare l’altro fanno venire alla luce anche una maternità tenuta nascosta
La magia della letteratura, l’ostinazione e l’onestà di una scrittrice, la sua capacità di diventare l’altro hanno fatto sì che questo silenzio (il silenzio del cinema muto, il silenzio dell’oblio, il silenzio dei cliché) venisse capovolto in un romanzo storico nel quale anche la maternità tenuta nascosta viene alla luce grazie al sentimento, alla comprensione dell’animo, all’osservazione di un dolore privato che esce dalle opere cinematografiche di Diana Karenne. Che prima di essere una diva a Roma era una studentessa a Parigi (il padre si è indebitato per la vita per mandarla là a studiare), una musicista a Montparnasse, voleva entrare al Conservatorio da privatista, superando gli esami del giugno 1908. Ma l’hanno cacciata perché incinta, così magra che già al terzo mese la pancia era evidente. Aveva diciott’anni. E il padre del bambino doveva laurearsi in Legge, non voleva farsi carico di lei, le ha offerto i soldi per abortire e lei glieli ha lanciati in faccia. Ha partorito in venti ore di tormento ed emorragia in ospedale, ha lasciato il bambino in un istituto per figli di nessuno e da quel momento è morta la giovinezza ed è iniziata un’altra vita. Un esilio interiore, in cui il dolore va tenuto nascosto, e un esilio di giovane donna errante, che cerca un posto in cui ricominciare.
Una fuggitiva disposta a farsi trovare, purché la sua storia non venisse ridotta allo stereotipo della femme fatale, o della povera ragazza sfortunata
La storia di Diana, di Dina, di Anna Karenina che si ribella alle punizioni ottocentesche della perdizione, non finisce con la fama da attrice che non voleva piangere (“preferisco sfilarmi la biancheria che le lacrime”), non finisce con le invenzioni registiche, con la vita da artista, pittrice, con il romanzo russo che Diana non scriverà mai. Non finisce con la finta data di morte, a cui Melania Mazzucco non riesce a credere perché non le tornano troppe cose. Non finisce nemmeno con l’impressionante bibliografia che correda questo volume unico, ricchissimo di dettagli che pescano negli archivi di mezza Europa, fino a Kyiv, Mosca, Israele. E’ un inseguimento, ma gentile, è l’inseguimento di una fuggitiva disposta a farsi trovare, purché la sua personalità non venisse tradita, purché la sua storia non venisse ridotta allo stereotipo della femme fatale, o della povera ragazza sfortunata. Purché il Novecento accettasse il rischio che una donna decida di inventarsi la propria esistenza, ribellandosi a un destino già preparato. Del resto, il cinema è il regno dell’inganno e delle possibilità, la porta d’ingresso nella modernità.
C’è talmente tanto altro in questo romanzo, e in questo personaggio, che nemmeno la grande Storia riesce a farlo impallidire. Dentro la Prima, la Seconda guerra mondiale, la diaspora, il passaporto da apolide, l’amore per un poeta russo importante. Ma non finisce qui, succede ancora moltissimo, e viene da chiedersi quale, tra tutte queste donne in una sola donna, con tutti questi nomi che non le appartenevano, sia stata la più vera. O, almeno, la più felice. Melania Mazzucco non può rispondere anche a questa domanda, ma ci offre tutti gli strumenti per ringraziare Diana Karrenne del suo coraggio, della sua solitudine, della sua continua ricerca di libertà.