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l'intervista

La comicità, la libertà e il segreto dei timidi. Parla Max Angioni

Marianna Rizzini

Dai social al palco delle “Le Iene”, fino ai teatri italiani ed esteri e ai nuovi progetti: tra tour e grande schermo. Il comico e conduttore si racconta al Foglio

Un ragazzo poco più che trentenne, partito da Como con la sindrome del figlio unico: quello che a forza di stare da solo diventa talmente timido da rovesciare la timidezza nel suo contrario, l’estrema socievolezza sotto la maschera (teatrale o televisiva): Max Angioni – comico (stand-up comedian), conduttore (de “Le iene” su Italia 1, per la stagione 23-24 e per quella in corso), parte del cast di “Zelig” su Canale 5 negli anni precedenti e, prima ancora, di “Lui è peggio di me” su Rai 3 nonché, a un certo punto, nel 2021, concorrente vittorioso (con il secondo posto) di “Italia’s got talent” – si racconta al Foglio proprio a partire da quell’infanzia “di grande difficoltà a uscire dal recinto genitori-nonni”. “Vedevo, sì, attorno a me”, dice, “altri piccoli esseri con i capelli, a differenza di mio nonno, o senza barba, a differenza di mio padre, ma non ero in grado di interagire”. Ed è in quella situazione di disagio che la risata si è fatta primo ponte verso gli altri. 

Partendo dalla fine, cioè da oggi, dicembre 2024, Angioni sta percorrendo a grandi balzi i gradini che portano verso la vetta del gradimento nella categoria giovani mattatori da palcoscenico reale e virtuale (non a caso il suo successo è esploso on line, durante la pandemia). E il suo nome ora ricorre per passaparola non soltanto perché spettatori e internauti diffondono i suoi tormentoni dissacranti su vari temi (religione, scuola, politica, se stesso), ma anche perché Angioni si è fatto macchina da guerra nei teatri: conclusa una stagione di tutto esaurito “tra italiani e italiani all’estero stipati in quattrocento in sala, con effetto villaggio turistico a Londra, a Bruxelles o ad Amsterdam”, dice, sta per imbarcarsi nell’impresa successiva.

Tra due mesi tornerà infatti in tour con lo spettacolo “Anche meno”, prodotto da Paolo Ruffini per Vera Produzione, in scena dal 21 febbraio 2025 nei teatri di tutta Italia, tra cui il Brancaccio di Roma, il Verdi di Firenze, l’Alfieri di Torino e gli Arcimboldi di Milano. Non bastasse, il comico sta per debuttare sul grande schermo con Diego Abantantuono, nel nuovo film di Volfango De Biasi. Ma che cosa è successo dopo l’adolescenza solitaria da figlio unico? “Sono partito in terza elementare con le barzellette di Topolino”, dice Angioni: “I compagni, non potendo copiare i compiti da me né essere guidati negli sport – ero infatti piuttosto scarso su entrambi i fronti – mi davano invece riscontro divertendosi. E’ seguita la fase dell’imitazione professori. Che poi oggi, ripensandoci, mi dico: ma pensa questi poveri docenti, gente che ha studiato una vita, costretti dalle circostanze a fronteggiare tutte le mattine orde di adolescenti in tempesta ormonale. Dopodiché ho continuato, anche per bisogno di esorcizzare quello che accadeva nella realtà. E poi, all’età di ventotto anni, ho deciso di provarci sul serio”. Periodo di lockdown: “Non avevo nulla da perdere, e l’argomento religione è stato un po’ il piede di porco che mi ha permesso di fare breccia nell’attenzione del pubblico. Poi ho introdotto l’argomento me stesso. Diciamo che mi uso  per parlare di quello che abbiamo intorno: le tasse, la morte, il futuro, il clima”.

L’autoironia diventa strumento per sovvertire il punto di vista stereotipato sulle cose, e Angioni si sente libero, sul palco, anche se la parola “libertà”, dice, “non può diventare alibi”. Bene l’invettiva, bene la critica, ma “devi sapere dove sei e a chi parli: un conto è in teatro, dove chi viene sa che in scena faccio quello che ritengo opportuno; un conto è lavorare in tv con un gruppo che cerca un punto di compromesso. L’importante, per me, è capire la realtà, e l’Italia, paese di incredibili contraddizioni, mi offre sempre materiale”. Nel prossimo spettacolo Angioni si confronterà “con le grandi domande dell‘esistenza: che senso ha la vita? Che senso ha la morte? Perché devo alzare le tendine prima che parta l’aereo? Come giustificare il pianto dopo il sesso?”. Lo spettacolo, dice,  “è adatto a un pubblico sotto i tredici anni di età, purché siano stati tredici anni difficili e comunque già compromessi da altri traumi”. 
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.