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Parlamentari italiani ed ex cancelliera, tutt'altra educazione (musicale)

Alberto Mattioli

Mentre i parlamentari applaudivano fuori posto al Senato, Merkel è andata alla Scala senza cellulare, senza applausi e, si suppone, senza fare commenti idioti. Uno scambio tra di loro lo farei subito

Grandi titoli sul cellulare incautamente squillato nell’aula del Senato mentre Riccardo Muti faceva il suo solito fervorino di fine concerto, e con arguta risposta borbonica del maestro: “Stutatelo ’sto telefono!”. Per la verità, riferiscono le cronache, non era nemmeno il primo episodio; si sa, ai concerti i telefonini sono come i postini: suonano sempre due volte. E fin qui siamo in un caso di ordinaria maleducazione. Ha fatto meno scalpore una circostanza ben più grave: che una platea di senatori, ministri e altre sedicenti autorità abbia applaudito al termine di ogni movimento della sinfonia “Roma” di Bizet. Che i legislatori ignorino le regole più elementari del vivere civile, per cui non ci si mettono le dita nel naso, non si mangia con la bocca aperta e non si battono le mani prima della fine di una sinfonia, indigna ma non stupisce.

Ricordo, anni fa, un concerto in Sala Nervi offerto da Mattarella a Ratzinger, o forse viceversa. Un’intera sala di principi della chiesa e grand commis dello stato applaudì allegramente a ogni pausa: tutti, a parte Presidente e Papa, evidentemente gli unici capaci di stare al mondo. Viene in mente William Lamb, secondo visconte Melbourne, riluttante ad accettare la carica di primo ministro perché, come disse al suo segretario, avrebbe dovuto incontrare quel noto idiota di Guglielmo IV e, testuale, “penso che sia una dannata noia”. 

 

L’episodio di Palazzo Madama è l’ennesimo frutto avvelenato del devastante populismo degli ultimi lustri, quando si è deciso che le classi dirigenti debbano essere uguali o possibilmente peggiori a quelle dirette, quindi la competenza, un minimo di cultura o semplicemente la buona educazione non sono importanti, e nemmeno desiderabili. Alto e basso accomunati dal rutto libero, insomma. I senatori come i loro elettori, convinti che la musica “classica” sia Bocelli che “canta”, si fa per dire, “Vincerò!”.  Eppure proprio mentre al Senato si svolgeva il dramma del telefonino, chi si fosse trovato alla Scala per una replica dell’opera di Verdi che nomar non so perché porta sfiga, insomma quella che ha inaugurato la stagione, avrebbero potuto constatare che non sempre potentone fa rima con cafone. Ci si è infatti palesata Angela Merkel: prego notare, non alla prima di parata che è poi l’unica occasione in cui i politici italiani mettono piede in un teatro, ma a una normale matinée della domenica. Proprio lei, l’ex cancelliera, accompagnata dal marito e da un paio di discretissime guardie del corpo e ricoperta da una delle sue indimenticate giacchette color melanzana (e qui, per favore, basta con i luoghi comuni. Non è vero che i tedeschi non sono eleganti. Semplicemente, sono daltonici: tutti). La signora ha seguito l’opera senza far trillare il cellulare, senza applaudire quando non doveva e, suppongo, anche senza fare commenti idioti. Del resto, è un’appassionata ed è normale incontrarla a Bayreuth o a Salisburgo, dove anzi in una memorabile occasione, nella calca del Parkett, le assestai inavvertitamente un’atroce gomitata. Merkel ha anche seguito il libretto sui nuovi display hi-tech e poliglotti della Scala, e solo piacerebbe sapere cos’ha pensato quando è apparsa la traduzione della tremenda sparata risorgimentale di Francesco Maria Piave: “Morte ai Tedeschi!”, cantano i contadini nel secondo atto, e “Flagel d’Italia eterno / e de’ figliuoli suoi!”, chiosa Preziosilla. Sarà. Però un cambio Merkel-senatori italioti lo farei subito. Quanto alle mani, se le tagliassero.

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