il colloquio
Travolto dal vortice di Marinetti. Parla Guido Strazza, l'ultimo futurista
"Per me è stato una rivelazione. Si sedeva di fronte a me e iniziava a raccontare. Gli chiedevo di tutto e lui era molto generoso, anche intellettualmente". Strazza ricorda i suoi incontri con il padre del futurismo italiano
Mentre il mondo intorno a lui stava crollando, prima di arruolarsi volontario e partire per il fronte russo nell’estate del 1942, unendosi “coerentemente” al tragico destino del regime fascista, Filippo Tommaso Marinetti non aveva ancora perso la speranza nel futuro. Alla fine della conferenza guardò negli occhi quel giovane poco più che ventenne che gli si parava di fronte con la cartella dei disegni sotto braccio, e gli disse: “Vienimi a trovare a casa”.
“In piazza Adriana ho conosciuto tutto del Futurismo”. Guido Strazza, l’ultimo futurista vivente, il 21 dicembre ha compiuto 102 anni. Così ricorda il giorno in cui incontrò per la prima volta FTM. Ci accoglie nel suo appartamento al ghetto, a Roma. Siamo lì per registrare l’intervista per il nostro documentario su futurismo, aviazione e propaganda, dal titolo “L’aeroplano di Marinetti”, ora disponibile su RaiPlay.
Strazza ha una voce limpida, la memoria cristallina. Ha le physique du rôle. Se li porta alla grande i suoi 102. Come una medaglia. Pittore, incisore, ingegnere, pilota d’aereo, è un artista che racconta molto del tempo del futurismo. Tema di attualità, grazie alla mostra alla Galleria nazionale di Roma che nel gigantismo onnivoro di un allestimento su 4.000 metri quadri, con oltre 500 opere e oggetti “d’epoca”, ha trovato anche spazio per appendere due lavori del maestro.
“Marinetti è stato per me una rivelazione”. Si videro più volte e Guido venne travolto dal vortice di energia che FTM era ancora capace di esprimere. “Aveva una bella abitazione, con un salone, tanti libri, quadri di Boccioni e illustrazioni alle pareti. Una larga stanza vuota senza sedie che portava ad altre camere. Si sedeva di fronte a me e iniziava a raccontare. Gli chiedevo di tutto e lui era molto generoso, anche intellettualmente”. In quei giorni, davanti allo sguardo ingenuo di Strazza, si stava compiendo quella che Giordano Bruno Guerri nel nostro documentario definisce “la maledizione del genio che ha creato il futurismo” quando FTM antepone la patria alla libertà. La Russia, Venezia e infine gli ultimi giorni all’Hotel Splendide a Bellagio attendendo un lasciapassare per la Svizzera che non arriverà mai.
Per Guido Strazza, Marinetti già tra il 1942 e il 1943 “era ormai culturalmente emarginato. In questo senso credo per lui fosse una cosa importante, che un giovane lo cercasse con interesse”. E FTM aprirà infatti a Guido la porta di un universo dove il segno non era solo rappresentazione di qualche cosa, ma era in sé “una linea-forza, parole di Boccioni, una tensione”. Questo gli ha cambiato il modo di vedere il mondo “perché ero un pittore autodidatta, senza alcuna formazione”.
In quello stesso anno Marinetti invita Guido Strazza a partecipare alla Biennale di Venezia del settembre del 1943 all’esposizione sull’aeropittura. “Quei dipinti sono spariti… la guerra, insomma… un disastro. Ma l’aeropittura per me è stata il traît d’union tra il non essere nella pittura ed essere nel mondo dell’arte. Il volo già di per sé mi aveva aperto degli orizzonti. Non cercavo la libertà, mi sembrava una cosa avventurosa e appassionante”.
A quel tempo il governo spingeva i giovani a prendere il brevetto di pilota gratuitamente all’aeroporto del Littorio. “Immaginate vedere le cose dall’alto, non su un aereo di linea, ma su un piccolo velivolo, e tu sei lì come con le tue ali, e vedi il mondo come se tu fossi un uccello. Tutte nuove prospettive, nuove dimensioni. Insomma una nuova visione, una nuova forma del mondo. Perciò l’aeropittura per me è stata proprio come spiccare il volo. Letteralmente. Non si trattava di rappresentare gli aerei. La realtà sostanziale era nella linea-forza-velocità”.
Per Strazza, non era poi solo teoria artistica, ma vita vissuta nel quotidiano. Grazie a Marinetti ha conosciuto anche Giacomo Balla, Fortunato Depero, Enrico Prampolini. “Simpatici, pieni di vitalità. Poi parlavano con me come si fa a un giovane che inizia… perciò declamavano un po’. Balla ormai era un uomo finito, aveva ripudiato la sua arte, ma era pur sempre un grande maestro. Prampolini invece lo ricordo come un uomo dinamico, attivo. Giusto il contrario. Aveva un futuro davanti a sé. Invece Benedetta Cappa, la moglie di Marinetti, era sempre di là, uscivano ogni tanto le figlie”. Sono incontri che si svolgono tutti a Roma, all’epoca però “una città provinciale”. Il centro degli interessi dell’arte contemporanea era Milano. “Là c’erano le gallerie, i musei, un’attività vera, produttiva, di lavoro e di confronti. Mi ci trasferii”. Prima tappa di un lungo viaggio di vita che ha portato Guido Strazza dopo la guerra in America Latina, tra Brasile, Cile, Perù e poi di nuovo in Italia a Venezia prima di tornare nella capitale nel 1964. Strazza viaggia veloce, ancora oggi. “No, non posso dirmi futurista nello stile, perché il futurismo non esiste più. Da un punto di vista concettuale invece sì… perché un artista ha sempre come prospettiva il futuro. Fa cose che parlano al futuro”.