Il bisogno della fede
Che destino gramo quello dell'uomo che si ritrova a vivere nel nulla
Ritorna in libreria “L’epoca della secolarizzazione”, opera con cui Augusto Del Noce affronta il tema dell'ateismo come elemento che inaridisce le possibilità umane e ci rinchiude in un eterno presente materialistico. Quando l'idea di “vita buona” lascia il posto a un indistinto concetto di “benessere”
Nel 1791 Edmund Burke ha scritto forse uno dei pensieri più profondi sul tema della libertà. “Gli uomini”, affermava l’irlandese, “sono qualificati per la libertà civile in esatta proporzione alla loro disposizione nel mettere catene morali ai propri appetiti”. Minore è l’autolimitazione che l’individuo è in grado di coltivare in sé, maggiore sarà il controllo esterno che sulla sua volontà sarà posto. In conclusione, egli sosteneva, le passioni dell’uomo costituiscono la causa stessa delle catene che l’individuo forgia. Ciò per dire che la libertà non potrà mai essere assoluta, come del resto nulla lo è a questo mondo. La tentazione, tuttavia, porta l’uomo altrove.
Un punto molto sentito da Augusto Del Noce (1910-1989). “L’epoca della secolarizzazione”, testo del 1970 che Gangemi, a cura di Giuseppe Buttà, ha da poco ripubblicato con l’aggiunta di alcuni importanti saggi filosofico-politici del pensatore torinese, ne è una testimonianza palmare. Il libro prende le mosse da quel che già era stato sostenuto nel 1964, con Il problema dell’ateismo, anch’esso da poco ripubblicato dal Mulino. Anziché essere portatore di libertà, l’ateismo inaridisce le possibilità umane, giacché rinchiude l’uomo entro il solo mondo terreno e in un eterno presente materialistico. Similmente a quanto sostenuto da Alexis de Tocqueville, nota Nicola Matteucci nell’introduzione, che da quando il passato – e dunque la tradizione, i valori permanenti e in qualche modo anche la fede religiosa – “non rischiara più l’avvenire, l’uomo avanza nelle tenebre”, così Del Noce ritiene che una vita fondata sul nichilismo, ovvero sul “vuoto elevato a valore”, come da lui stesso definito, non ha più senso e significato alcuno. L’uomo si trova così a vivere nel nulla, perché tale è il portato del progressismo che tutto tende a distruggere sulla base del puro andare avanti, senza sapere bene dove e perché: ciò è il prezzo di quello che il pensatore cattolico chiama “millenarismo negativistico”, cioè a dire “morte dei vecchi ideali, ma insieme confessione che nuovi ideali non possono nascere”.
Il disorientamento che provoca il venir meno di qualsiasi fondamento religioso mette a repentaglio la stessa libertà. Questa, infatti, non può avere, secondo Del Noce, alcuna giustificazione puramente razionalistica o materialistica, edonistica o utilitaristica, quanto piuttosto morale. L’uomo ha bisogno della fede e di principi permanenti perché è da questi che origina la sua libertà e la sua dignità. È da ciò che introietta quella bussola per imprimere una direzione alla propria vita, con libertà e responsabilità. Non è in discussione, dunque, la libertà in sé nel pensiero di Del Noce, quanto piuttosto la sua controparte degenerata e contemporanea, frutto del permissivismo. Questo, scrive Buttà, ha pervertito il liberalismo e ha aperto le porte a un nuovo tipo di totalitarismo, il quale ha sostituito la fede e i valori permanenti con il culto della scienza e del progresso. L’idea di “vita buona”, frutto di buone pratiche ancorate a buoni princìpi e alla coltivazione di certe virtù, è stata così soppiantata da un indistinto concetto di “benessere”, sia materiale che psicologico.
A tal proposito è interessante notare come, in un articolo inserito in appendice, il pensatore torinese citi “La cultura del narcisismo” di Christopher Lasch. Per il pensatore americano, contrariamente a un’opinione invalsa ma errata, narcisista non è un individuo ipertrofico ed espansionistico, quanto piuttosto, come dirà nel libro successivo, un “io minimo”, caratterizzato dai contorni incerti e dall’inquietudine di non riconoscerli, non essendo più in grado di fare i conti con l’idea stessa di limite (le catene di cui si parlava all’inizio con riferimento a Burke). Ecco il punto cruciale: a furia di negare i limiti dell’umano, e di rigettare i fondamenti etico-spirituale degli stessi, l’uomo diventa prigioniero delle proprie illusioni, creandosi nuove e ben più esiziali forme di schiavitù.