Divina bellezza. Ma quale Roma, il Tesoro di Terrasanta è in mostra (ancora per poco) a Firenze

Tommaso Ricci

Al  Museo Marino Marini una fenditura nel tempo in cui rimirare barlumi di secoli scuri e luminosi, eroici e tremendi. Manufatti preziosi, doni inviati dalle corti europee lungo cinque secoli, gelosamente protetti dai francescani

È aperta per pochi giorni ancora a Firenze una fenditura nel tempo in cui rimirare barlumi di secoli scuri e luminosi, eroici e tremendi, dardeggianti attraverso oggetti solenni e mirabili confezionati ad gloriam Christi in un lontano passato. E non è un caso che quel pertugio sia collocato nel Dna storico di Fiorenza, in San Pancrazio, oggi ospizio del Museo Marino Marini, ma antica chiesa fiorentina dove a metà del Quattrocento l’archistar Leon Battista Alberti ricostruì da par suo – nella adiacente Cappella Rucellai – un fedele modello del Santo Sepolcro. In questa speciale giunzione tra Firenze e Gerusalemme staziona, per breve tempo ancora, un tesoro gelosamente protetto dai Custodi di Terrasanta, i francescani: manufatti preziosi, doni inviati dalle corti europee lungo cinque secoli, omaggi di sovrani al Sovrano nel cui nome loro stessi erano stati incoronati. Perché non c’è niente da fare, Roma risplenderà pure nella storia della santità e dell’arte ma, a differenza di Gerusalemme, la Città eterna non possiede una sua foce “celeste”, non ha sbocchi escatologici: il Luogo Santo per antonomasia resta per sempre là dove il Signore è nato, morto e resuscitato, nella terra che i piedi di Gesù hanno calcato e dove Lui ha operato i Suoi miracoli. Miraggio di pellegrini e crociati, predicatori e penitenti, da subito seconda casa, dopo Assisi, dei figli di Francesco, che tuttora vi svolgono la loro missione speciale di custodi dei Luoghi Santi. 

   

   

O Laurentio mio, considerate quanto desnore de Idio, vituperio a la Chiesa e vergogna a tutta la christianidade sequitaria, quando per negligentia et avaritia de essi, li poveri Frati fossino constrecti per necessità a lassiare quilli santissimi Lochi, a li quali nullo christiano poteria più andare, maxime li peregrini… 

 

Con questa missiva, tra l’implorante e il ricattatorio, il Guardiano del Monte Sion, fra’ Bernardo da Parma, supplicava il 5 maggio 1473 il fiorentino Lorenzo de’ Medici, il Magnifico, di sovvenire alle necessità materiali della Custodia di Terrasanta, (tuttora) istituzione-avamposto della cristianità latina a Gerusalemme, in quel tempo sottoposta a sovranità mamelucca. La dinastia medicea aveva tradizionale e munifica venerazione per la patria terrena di Gesù (vedi i Re Magi di Benozzo Gozzoli a Palazzo Medici Riccardi) e per l’Ordine francescano: il Pater Patriae Cosimo il Vecchio fece erigere sul Monte Sion un ospizio per i pellegrini, in mostra lo documenta un arazzo prestato dagli Uffizi, ma il pezzo pregiato di questi manufatti donati dalle corti europee alla Custodia di Terrasanta e ora in tournée mondiale anche per fundraising – son già passati da Versailles, Lisbona, Santiago de Compostela e in parte andranno a New York – è il rivestimento bronzeo commissionato a fine Cinquecento da Ferdinando I de’ Medici per la Pietra dell’Unzione, la lastra di marmo rossastro (così dipinta da Mantegna nel suo “Cristo morto”) su cui fu disteso il Corpo di Cristo per la preparazione alla sepoltura. Sei magnifiche formelle, due del Giambologna, con scene della Passione in bassorilievo unite da graticole finemente decorate (con l’immancabile stemma mediceo a sei palle).

  

   

Se oggi i fedeli non trovano questo Ornamento a recingere la Pietra è perché le misure furono prese male, risultò più corto e – a riprova della disinvoltura con cui venivano trattate le reliquie – fu proposto allora di accorciare la sacra lastra! Il kadì di Gerusalemme aveva dato l’ok, ovviamente dietro relativo compenso, tanto per lui era roba degli infedeli cristiani. Ma il mediceo committente, il Granduca, rifiutò la sacrilega manomissione. Su quella lastra poi ci sono da raccontare altre storie ma lo spazio nol consente. In esposizione paramenti lussuosi, dipinti, calici d’oro, lampadari, candelabri, incensieri, oggetti di sontuosa fattura, insieme a documenti (firmani, hogget, fatwà, ordinanze) eloquenti sulla situazione perennemente precaria della Custodia di Terrasanta, che da sempre deve soggiacere ad autorità civili non cristiane. Anche qui erano d’aiuto (relativo) le potenze d’occidente che nei negoziati con la Sublime Porta inserivano spesso richieste riguardanti garanzie per i religiosi latini a Gerusalemme, ottenendo assicurazioni e concessioni dai supremi vertici islamici, spesso non rispettate però dalle autorità locali e dalla popolazione ostile.

   

    
Una simile quantità e qualità di pezzi in mostra non la si rivedrà più, se non a Gerusalemme. E in questo c’è anche un fievole spiraglio di luce dentro l’attuale buio: è in costruzione nella Città Santa un grande Museo cristiano dove dal 2026 tutto sarà permanentemente esposto. Mentre tutt’attorno la guerra brucia, c’è pure chi scava pozzi di pace.