La mostra
Il tragico Minotauro, paradigma dell'èra in cui la mascolinità va annichilita
A Palazzo Te, a Mantova, una mostra su Picasso richiama il tema delle Metamorfosi di Ovidio, della trasformazione dei corpi e della natura. Dall'auto-rappresentazione di sé alle inquietudini di un'epoca di violenza
Nella seducente e vagamente allucinatoria cornice di Palazzo Te, a Mantova, c’è in corso da qualche tempo, sta quasi per concludersi, una piccola mostra su Picasso che richiama il tema delle Metamorfosi ovidiane, che sono il fil rouge che ha guidato Giulio Romano nella realizzazione cinquecentesca dell’edificio.
Il tema della trasformazione dei corpi e della natura è sempre di per sé intrigante. E’ il modo magico in cui pensiamo le cose come non chiuse in sé stesse e date una volta per sempre, ma continuamente aperte al cambiamento e quindi al rinnovamento, anche quando questo passaggio di forma non ha nulla di sereno e di rassicurante. Le metamorfosi mostrano quanto di inquietante vi è nella possibilità di essere diversi da ciò che si è, quanto vi è di dirompente. Mostrano, anzi, come non vi è mai alcunché di stabile e ricorsivo se non appunto la mutazione stessa. La vera realtà delle cose, suggeriscono le metamorfosi, sta nel suo stravolgimento. Per quanto riguarda la mostra di Picasso, non vi si trova alcun pezzo particolarmente sbalorditivo, fatta eccezione per l’opera che fornisce l’immagine manifesto della mostra ossia quella della “Femme couchée lisant”, e per la celebre acquaforte intitolata “Minotauromachia”.
Il tema del Minotauro era molto caro a Picasso che spesso ha disegnato e dipinto la mitologica creatura figlia delle oscene voglie di Pasifae, moglie di Minosse, re di Creta, che si fece montare da un grandioso toro di cui si era perdutamente innamorata. Molto si è scritto della relazione di Picasso con le donne, della sua passionalità aggressiva e consumante, animalesca, ferina che egli stesso evidenziava anche nella figura mitologica, mezza uomo e mezza toro, che così di frequente ritorna nella sua produzione. Qui, però, non è interessante analizzare ancora tutto ciò quanto piuttosto il fatto che la riduzione dell’uomo, o piuttosto del maschio, come si ama dire oggi con tema semi-medicale che indica nel sottotesto la necessità della cura di una malattia, a creatura dai tratti bestiali che va arginata e anestetizzata nel labirinto di correttezza in cui si vogliono rinchiudere i suoi tratti più inquietanti, trova nella figura del Minotauro un’immagine perfetta. E’ la mascolinità, in realtà, che diviene oggi un tratto mitologico, un archetipo esistenziale da nascondere prima e da annichilire poi.
Al di là delle moltissime interpretazioni possibili dietro i molti volti che Picasso ha donato al Minotauro, vi è certo una evidente percezione da parte dell’artista della potenza evocativa di questa figura. Se, da un lato, essa sicuramente aveva per lui dei tratti di auto-rappresentazione, dall’altro egli riversava in essa anche le inquietudini dell’epoca (l’acquaforte è del 1935) e l’immagine di una forza dirompente e oscura, proveniente dalle viscere di uno spirito umano che ha cancellato la ragione. Ed è proprio su questa forza, interamente umana, eppure profondamente ferina che occorre riflettere un attimo di più.
Nella figura del Minotauro, che tende appunto spesso a fare tutt’uno con la violenza distruttiva del “maschio”, troviamo tutta l’inquietudine che ruota attorno all’enigma della forza. Ma non della forza tranquilla, della forza calma, della forza gentile, tutte sbiadite allitterazioni semantiche, bensì della forza per ciò che essa è, ossia rottura e violenza. La potenza muscolare e oscura del Minotauro sta lì a ricordare, con tutta la sua malinconia, con tutta la tragedia della sua condizione di straniero eterno (né del mondo degli uomini né del mondo degli animali – un perenne nebbioso limbo) che la forza è la costante in cui sono immerse le relazioni degli uomini e il loro stesso esistere; che tutto ciò che siamo, quando siamo ridotti al magmatico nucleo del nostro esserci, perché questo è il Minotauro, non è altro che forza. Ma la forza, inevitabilmente, è sempre anche violenta e ferina, e primordiale, ma proprio perché originaria dà nuova vita, è sempre nuovo iniziare, nuovo principio: ciò che permette di ricominciare, di trasformare, in maniera inevitabile rompe traumaticamente quanto prima vi era di stabile. Metamorfosi.
La tentazione di rimuovere quella che si può chiamare allora la potenza del Minotauro dal tessuto delle società, voler silenziare, ingabbiare e soffocare questa componente oscura e misteriosa eppure vitalissima dello spirito umano coincide con un atto suicidario di autospegnimento di quella forza che, invece, tutto regge e da cui tutto si emana e in cui tutto si rinnova. La ragione, l’ordine, la forma restano senza un bel niente da ordinare se non vi è questa forza a creare inesauribilmente il nuovo in mezzo e attraverso il caos.